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Niccolò Machiavelli: la lettera al Vettori

Fortuna = Con il termine fortuna il Machiavelli intende la concorrenza degli eventi, la situazione storica in cui l'uomo, o lo stato, viene a trovarsi e che deve risolvere. Ad essa egli oppone la "virtù" dell'individuo cioè la capacità dell'uomo di dominare gli eventi e volgerli a suo favore.

Motivo encomiastico = (di elogio) Machiavelli vuole accattivarsi la simpatia dei Medici dedicando l'opera a Lorenzo, così cerca di tornare a Firenze.

Nella lettera al Vettori, il Machiavelli parla dei suoi studi, del come trascorre la vita a San Casciano - dove si era ritirato dopo il ritorno dei Medici a Firenze - (le mene dei boscaioli, l'ingaglioffarsi all'osteria, il litigio per le cataste di legna), della composizione del Principe, e insieme rileva in pieno la passione sua di pensatore, il suo amore per i classici che considera maestri di vita, i gusti di vita semplici e sani del proprio vivere, la sofferenza per il forzato esilio che lo allontana dalla politica attiva lasciandoci così il ritratto più completo e vivo del suo animo.

Pensiero politico
Il Machiavelli visse e operò in un periodo particolare della storia italiana, mentre vi era la crisi che, cominciata nel 1494 (discesa in Italia di Carlo VIII re di Francia), avrebbe condotto alla perdita dell'indipendenza nazionale; erano gli anni delle continue invasioni dei "barbari", la lotta continua tra gli Stati in cui l'Italia era polverizzata facevano sentire la crisi e inducevano ora alla disperazione, ora al sogno di difficile rinnovamento. Il problema politico era quello di costituire una "provincia italiana" che fosse in grado di resistere allo straniero, unificando gran parte della penisola e facendo dell'Italia uno Stato moderno, come lo erano già Spagna e Francia. Da questo Machiavelli pensa che un "principe", con la sua "virtù" (prontezza ed energia verso il proprio fine) potesse unificare l'Italia imponendo la sua autorità e costituendo così quello Stato che al di fuori del quale non vi era altra ragione di vita. Questi ideali politici erano vissuti, da Machiavelli, nella cultura rinascimentale, che prendendo come modello il mondo classico, aveva elaborato una nuova visione laica e scientifica, dell'attività umana. Per Machiavelli, la politica era un'attività avente in se stessa le sue leggi e i suoi fini, e quindi giudicabile solo in relazione a quelle leggi e a quei fini. Da cià il suo sforzo per costituire la politica in "scienza", deducendone le leggi dalla natura dell'uomo e dalla "lezione" del passato, secondo i canoni della cultura rinascimentale che per ogni attività umana tendeva a cercare nel mondo antico i modelli perfetti ai quali adeguarsi. In primo luogo Machiavelli rovescia il metodo seguito fino allora nello studio dell'azione politica affermando che egli vuole "andare dietro alla verità effettuale della cosa", cioè, vuole fondare la sua teoria della politica non su ideali astratti ma sulla realtà della natura umana. Machiavelli a riguardi della natura umana, dice che gli uomini sono ingrati, volubili, simulatori, dissimulatori, cupidi, murati nel loro egoismo, disposti a perdonare l'uccisione del padre piuttosto che la perdita del patrimonio. Ma è proprio da questo pessimismo che scaturisce la necessità dello Stato, con cui un insieme di uomini nemici fra loro possa essere organizzato in una "repubblica" cioè in una unità conspirante ai medesimi fini. Perciò Machiavelli teorizza, nelle due opere fondamentali ( "Principe" e i "Discorsi sulla prima deca di Tito Livio") tanto lo Stato repubblicano quanto quello governato da un principe: ideale il primo, purchè siano nei cittadini le virtù civiche che lo rendono possibile; necessario questo perchè come nell'Italia del tempo si è fatto ricorso ad un uomo d'eccezione, metà uomo e metà bestia tanto volpe (astuzia) quanto leone (forza), capace di assicurare con questa sua natura la nascita e la conservazione dello Stato. L'opera di Machiavelli è così tutta piena di "eroi": per lui Mosè, Ciro, Teseo, Romolo e pochi altri - fra cui Cesare Borgia - erano maestri nell'arte di fondare e mantenere gli Stati. L'eroe opera solo in un contesto ben preciso e solo la situazione intorno a lui gli offre la possibilità di attuare le sue possibilità. Ma c'è pure una forza misteriosa, la "fortuna" che ha un duplice significato: o è la concorrenza degli eventi in mezzo ai quali l'uomo deve operare, o è la forza, la capacità stessa dell'uomo che si fa artefice di sè. Così la "fortuna" per metà governa le cose del mondo e per l'altra le lascia governare alla "virtù" dei singoli. Essendo esclusa dall'agire umano ogni finalità trascendente, ed essendo lo Stato l'unica istituzione atta ad assicurare il vivere civile, le azioni del principe vanno valutate con criteri politici. Il Machiavelli distingue fra "principi" e "tiranni"; considera tiranno chiunque governi a proprio vantaggio; impone al principe l'uso della violenza e della frode come una triste necessità alla quale egli debba ricorrere, anche a rischio di "infamia"; deve essere disposto anche a giocarsi l'anima pur di adempiere al proprio dovere e mantenere lo Stato.