QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

GIOVANNI ARPINO: LE MILLE E UNA ITALIA

L'AUTORE
La sua vicenda di scrittore comincia molto presto. Il suo primo libro, Sei stato felice, Giovanni esce nel 1952: è un romanzo sulla solitudine scontrosa dell'uomo di quegli anni, assediato da una società alienante. Giovanni Arpino nasce a Poa nel 1927; suo padre è un ufficiale in carriera, per cui i suoi primi anni li trascorre da una città all'altra. Per motivi di studio si trasferisce a Bra, una cittadina del Piemonte dove risiedono i nonni. Dopo il liceo, si iscrive all'Università di Torino dove si laurea in Lettere nel 1951. L'anno dopo, il primo di una lunga serie di romanzi. Dal 1959 avvia una fitta attività di collaborazione giornalistica su diversi quotidiani, prima di diventare inviato speciale de La Stampa. Muore all'età di sessant'anni nel 1987.

LA TRAMA
Riccio Tumarrano è un ragazzo che dalla Sicilia parte alla ricerca del Monte Bianco dove lavora suo padre, minatore al traforo. Siamo intorno al 1960: un momento politicamente inquieto in Italia. Nel suo viaggio, Riccio incontra straordinari personaggi: Garibaldi e Cavour, un Mussolini ragazzo. Pulcinella, Annibale cartaginese, poeti e artisti, politici e guerrieri di ogni epoca. Tutti hanno qualcosa da insegnare. Alla fine Riccio scrive ai fratelli rimasti in Sicilia: dovete studiare perchè l'Italia è bella ma difficile: "Chi non impara prima qualcosa dai libri non capirà mai bene tutte le cose che incontrerà attraversandola".

L'INCONTRO CON ANNIBALE
Figlio di un generale, con la spada in pugno fin da ragazzo, comandante di un esercito in Spagna ad appena 25 anni, Annibale Barca fu a un soffio dal cambiare il corso della storia. Nel 217 a.C. valicate le Alpi con carri ed elefanti, distrusse le armate romane al Trasimeno e a Canne. Era la seconda guerra punica, in cui Roma rischiò di scomparire. A decidere le sorti fu la mancanza di rifornimenti al capo cartaginese, che dovette tornare in patria dove fu definitivamente sconfitto, a Zama, da Scipione l'Africano. Autentico genio militare ma anche uomo colto, che parlava diverse lingue, Annibale è l'emblema del coraggio sfortunato e, forse, imprevidente. Tipico eroe dell'antichità, quando l'azione sembrava più importante della ragione.

In un pomeriggio d'estate, sulla strada polverosa che da Napoli porta a Roma, riccio vede un elefante che carica mastelli colmi d'acqua e va nella campagna senza versarne una goccia. Lo segue fra le canne e i cespugli fino a una capanna. Non è l'abitazione di un contadino: fuori della porta sono appoggiati lancia e scudo, una spada, una corazza. Compare un gran vecchio, un occhio coperto da una benda, l'altro fiammeggiante d'orgoglio. Veste una specie di sottana corta e cenciosa, ha un aspetto barbarico: ma Riccio, più che paura, sente pietà. Il vecchio gli offre del cibo, si capisce che cerca compagnia. "Chi sei?" domanda il ragazzo. "Indovina..".
E' il grande Annibale, solo, "illuso per secoli". Era a un passo da Roma. Fermo a Capua, aspettava i rinforzi. "I miei soldati", racconta, "sono spariti uno dopo l'altro". Erano dei guerrieri, si sono giocati le armi nelle taverne, sono diventati rubagalline, pastori, barbieri. Sembrava, nei primi tempi, una bella vita. I soldati cartaginesi, dopo tanta guerra, erano temuti e venerati dai ricchi del posto. Certi giorni Annibale partiva solo, a cavallo, e si spingeva fino alle colline che circondavano Roma. "Vedevo i templi, le grandi mura, i marmi dei palazzi. Il cuore mi scoppiava in petto". La vittoria pareva sicura. Così passò il tempo. "Guarda come sono finito..".
Riccio non ha nemmeno il coraggio di rispondere che lui, a Roma, ci sta andando davvero. Annibale gli propone una partita: se il ragazzo perde, si ferma per tre giorni; se vince, se ne va con un regalo, "anche un elefante". Si gioca ai dadi. Annibale fa undici. Riccio dodici. Cerca di consolare il vecchio guerriero: "Non hai fortuna": L'altro lo fissa, con l'occhio di pietra: "Scegli un regalo e vattene". Riccio non ha cuore di privarlo dei suoi poveri beni, si accontenta di un pezzo di formaggio. Annibale gli volta le spalle; la spada inutile da tanti secoli gli batte sulle borchie dei calzari. L'ultima occhiata di Riccio è per gli elefanti, immersi e indaffarati attorno a una macina.