QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA: IL GATTOPARDO

L'AUTORE
Tomasi principe di Lampedusa è morto nel 1957, un anno prima che venisse pubblicato il suo romanzo. L'aveva sottoposto a editori di prestigio e fu un notissimo scrittore, ascoltato consulente, a respingerlo: per stupidità, incomprensione, invidia, non si è mai capito. In vita, del resto, Tomasi non aveva avuto alcuna fortuna letteraria, malgrado il suo gusto finissimo e la sua sterminata cultura. Incoraggiato tuttavia da qualche amico, si impegnò alla stesura del Gattopardo per tre anni di seguito, praticamente sino alla morte. Il libro ebbe immediatamente uno straordinario successo, con centinaia di migliaia di copie vendute e traduzioni in tutto il mondo.

LA TRAMA
Nella Sicilia del 1860 è sbarcato Garibaldi. Da quel momento cambierà tutto. O forse no, perchè c'è chi pensa che si fingerà di cambiare, lasciando tutto come prima.
Nell'immenso palazzo dei Salina vive il principe Fabrizio, che nel blasone ha un gattopardo baffuto. E' un uomo di statura imponente, biondo, con un prestigio naturale. Assiste con distacco agli avvenimenti, pur capendo che la sua epoca sta per finire. Altri uomini vengono avanti, come il sindaco Calogero Sedàra, "don Calò", brutto e piccolo, privo di classe ma astuto e pieno di soldi. Don Calò ha una figlia bellissima, Angelica, che ha fatto studiare nel continente. Di lei si innamora Tancredi, nipote di don Fabrizio, che è stato con Garibaldi. E' l'incontro fra la nobiltà e il denaro; i due si sposano anche se una figlia del principe, Concetta, era a sua volta innamorata di Tancredi. Passano gli anni, le speranze portate da Garibaldi sono deluse. Il principe muore; nel vecchio castello resta Concetta, che si è sposata. Un odoro di cose perdute, un mondo che non rinascerà più.

IL PROTAGONISTA
Il Gattopardo, pubblicato dopo la morte del suo autore, è stato venduto in oltre un milione di copie e tradotto in tutte le lingue. Nella figura del principe Fabrizio è facile vedere una biografia intellettuale dello stesso Tomasi di Lampedusa: intelligenza, senso della tradizione ma consapevolezza che il mondo si muove, senso di un'epoca perduta. Fabrizio è un uomo che capisce l'inutilità di opporsi alla storia: sotto questo aspetto un uomo moderno, anche se in apparenza fedele alle regole del passato. Verso il suo ambiente sente insieme amore e noia; verso le novità interesse e sfiducia. Sa che l'uomo è quello che è: le sue passioni e le sue aspirazioni non cambiano. Una sua frase, forse la più famosa: "Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi e i nuovi, che si trova a disagio fra tutti e due".

IL BLASONE E IL DENARO
Nel paese di Donnafugata, dove si trova il palazzo dei Salina, si vota per l'annessione all'Italia. Il plebiscito dà 512 "si" su 512 votanti. Nessuno contrario. Don Fabrizio trova strano questo risultato e, andando a caccia, ne parla con un uomo del posto che lo accompagna, don Ciccio Tumeo. Questi gli confida che voleva votare "no", ma tanto non c'è rimedio: i vincitori avrebbero fatto ugualmente quello che volevano. Come don Ciccio si sono comportati tanti altri. Don Fabrizio riflette: è come se a Donnafugata fosse stata strangolata una neonata, in buonafede.
Ma il principe ha un altro argomento che gli sta a cuore, il nipote Tancredi, innamorato di Angelica. Che cosa si pensa in paese, domanda, della famiglia Sedàra? Don Ciccio non si fa pregare. Comincia col dire che don Calogero Sedàra non è peggiore di tanta altra gente. Ma subito si sbottona. Sebbene ricchissimo, don Calò è un avaro; quando la figlia era in collegio, lui e sua moglie mangiavano un uovo in due. Ma farà carriera. Ha spianato politicamente il terreno ai garibaldini, prevenendone la vittoria. Andrà certo deputato al Parlamento di Torino, diventerà il più grande proprietario della provincia.
Don Fabrizio insiste: e la famiglia? Risponde don Ciccio: la moglie di don Calogero non l'ha mai vista nessuno. Si sa che è bellissima ma come una specie di animale: non sa nè leggere nè scrivere, non conosce l'orologio, quasi non è capace di parlare. Suo marito la tiene nascosta a tutti. Il padre era un affittuario sudicio e torvo, chiamato con un soprannome infamante. Don Ciccio è lanciato e descrive senza complimenti anche la bellezza di Angelica: ma poi di colpo capisce che c'è di mezzo Tancredi, nipote del principe, e non sa come continuare. Don Fabrizio è seccato: da una parte pensa che si sta parlando della futura nipote; dall'altra capisce che don Ciccio non ha colpa se non sa niente. Lo informa di botto che Tancredi chiederà la mano di Angelica; si esprima quindi don Ciccio con il dovuto rispetto. Il pover'uomo è allibito. Un nipote del principe che si mette con la figlia di un nemico di classe? "E' una porcheria. E' la fine dei Salina!". Il principe sta per saltargli addosso, ma si calma. E' un uomo di scienza, un matematico, abituato a vedere tutti i lati delle cose. "Andiamo a casa don Ciccio, voi certe cose non le potete capire". Mentre discendevano la strada "sarebbe stato difficile dire chi fosse Don Chisciotte e chi Sancio Pancia".