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1883: L'ERUZIONE DI KRAKATOA

Krakatoa (o Rakata) era, ed p, un'isoletta disabitata nello stretto della Sonda, fra le grandi isole di Giava e di Sumatra. Nell'isola c'erano tre vulcani. Parevano tuttavia tranquilli; dall'ultima volta che la terra aveva tremato erano trascorsi un paio di secoli. Poi, improvviso, il risveglio.

Le prime avvisaglie si ebbero nella primavera del 1883. Dalle città  della costa giavanese, distanti una cinquantina di chilometri, si sentivano dei tuoni e si vide un pennaccio di fumo, salito in poche ore oltre i diecimila metri. Il boato aumentava, lo sentirono in serata a Singapore, lontana quasi 800 chilometri. Ceneri e frammenti di pomice cadevano su Giava e Sumatra, coprendo le spiagge come una nevicata. L'eruzione si protrasse per una settimana, poi si quietò. La gente smise di preoccuparsi. Alcune spedizioni scientifiche furono mandate a Krakatoa dagli olandesi, che controllavano tutte le isole dell'arcipelago: trovarono solo qualche palma bruciacchiata. Tutto il resto era scomparso sotto la pioggia di pomice. Ma poichè nell'isola non c'erano abitanti, nessuno se ne preoccupò troppo.

La pausa fu però breve. Verso metà agosto i tre crateri ripresero a rumoreggiare. Nelle isole maggiori si udirono nuove esplosioni, la gente si riversò sulla costa per assistere allo spettacolo. Per molti fu la fine. Il 26 agosto, con un lampo di terrificante luminosità accompagnato da esplosioni e da scosse di terremoto, il Perbuatan riprese la sua attività. L'eruzione durò due giorni di seguito, con effetti catastrofici. Gli scoppi si erano ormai trasformati in un rombo continuo; a Giava e Sumatra la gente non riusciva a ripararsi dalle ceneri e dagli incendi. Molti corsero verso i porti per imbarcarsi sulle navi, ma un'altra tremenda sorpresa li attendeva. Il mare si alzava e riabbassava di quasi quattro metri ogni quarto d'ora, spaccando le imbarcazioni. La folla si gettò quindi verso le colline.

Il peggio doveva ancora venire. L'eruzione stava svuotando il vulcano, le cime più alte si appoggiavano su strati di roccia sempre meno consistenti. Da un momento all'altro queste fragili pareti crollarono, mentre il vulcano si ripiegava su se stesso. Un nuovo scoppio, più pauroso ancora degli altri, scatenò un'ondata che in pochi minuti raggiunse la costa. La città di Anjer, a Giava, venne investita da una muraglia di acqua alta più di dieci metri, che penetrò nell'interno per 4 chilometri. Nei dintorni furono sommersi villaggi interi, nessuno trovò scampo. Per un inspiegabile fenomeno, un'ondata non meno violenta aveva invaso le coste di Sumatra già prima dell'esplosione finale. Anche là lutti e distruzioni.

Ma non era ancora finita. Dopo la sprofondamento del vulcano, una nuova ondata alta sessanta metri completò la devastazione. Chi era scampato alla prima marea d'acqua non trovò più scampo. Tutte le coste dello stretto, già verdi e piene di coltivazioni, si trasformarono in una distesa fangosa, che si estendeva per chilometri verso l'interno. I morti furono almeno 35 mila, ma c'è chi parla di 75 mila. Si dovettero scavare in gran fretta delle fosse per bruciare i cadaveri. Gli olandesi, che avevano un'amministrazione efficiente, mandarono subito dei soccorsi: ma in pratica c'era da ricostruire tanto. E lontano, sul mare, il vulcano continuava a mandare lampi e boati. Poi si placò. Due terzi dell'isola Krakatoa non esistevano più. La gente, sotto la nube di cenere che non andava via, ricominciò a lavorare. Le ceneri che erano state lanciate in alto, furono trasportate dai venti a grandissime distanze. L'area da loro ricoperta era di circa 4 milioni di chilometri quadrati. Le ceneri più fini, si disse, fecero 3 volte il giro della Terra, schermando sensibilmente le radiazioni solari.