QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

il mondo e il teatro nella commedia del goldoni

L'opera nasce sul palcoscenico, in mezzo al rumore degli attori e al brusio degli spettatori di platea. Il teatro e il mondo sono le due principali fonti della sua ispirazione:

- il teatro cioè l'ambiente degli attori, del pubblico, con le loro leggi, il loro gusti, le loro tecniche;
- il mondo cioè l'uomo con i suoi vizi, ma soprattutto con le sue virtù, nello spazio fisico e morale di una città, Venezia, che conserva sempre una sua vitalità negli slanci di una borghesia mercantile che si viene sempre più affermando, nel gusto di vivere del popolo che il Goldoni sveste dei panni buffi e volgari con cui la tradizione l'aveva ricoperto e rivela nel suo vero volto, fatto di malizia e di bontà di operosità e di sincerità.

La natura vera della "riforma" sta nella scoperta dell'uomo che sta sotto la maschera; la cosa implica una nuova tecnica teatrale che non sia quella dell'improvvisazione, in un nuovo linguaggio che non sia quello dei comici, un nuovo spazio scenico che non sia quello della piazza.

I personaggi del suo teatro si inscrivono nelle linee di una classe sociale: la nobiltà corrotta e oziosa, in decadenza, ma che ancora detiene il potere politico; la borghesia laboriosa e dignitosa, già in ascesa; il popolo, non più oggetto di riso, ma soggetto vivo e attivo. La lingua goldoniana sembra improvvisata alla maniera di quella dei comici dell'Arte si sono espressi con un linguaggio artificioso, irreale e astratto, i personaggi goldoniani adoperano parole vere e quotidiane, tutte aderenti alle cose, agli affetti, alle azioni; voci, dialettali, di un dialogo sempre vivo e immediato, che ha il sapore della conversazione e soprattutto di una natura teatrale. La lingua è per il Goldoni soprattutto un mezzo per comunicare con il suo pubblico che abbraccia diversi strati sociali, che ha gusti diversi che vuole ridere, vuole divertirsi e vuole commuoversi.

goldoni e la riforma

Il Goldoni, nella sua riforma, procede con sapienza e con precauzione per non urtare il pubblico, tutto preso dalle stravaganze e dalle romanzesche avventure della commedia dell'arte; e non impone un teatro in contrapposizione a quello esistente, ma lavora entro di esso e lentamente lo modifica.


Della commedia dell'arte accetta (opportunamente modificandoli e facendoli suoi):
- il movimento delle scene
- il susseguirsi rapido delle situazioni
- lo spirito brioso
- la vivacità delle trovate comiche e del dialogo (il quale, con il Goldoni diviene dialogo-azione, dialogo che nasce da sè dall'azione)
- alcune maschere ed alcuni personaggi.

Invece il Goldoni rifiuta:
- il grottesco
- il buffonesco
- il declamatorio
- gli intrecci complicati ed assurdi
- i tipi astratti.

Il Goldoni vuole che gli intrecci siano naturali e semplici, che gli avvenimenti sorgano non dal caso, ma siano verosimili (quasi una conseguenza del modo di agire e di pensare dei personaggi) e che i personaggi, anzichè essere tipi fissi ed astratti riflettano caratteri che si possono incontrare nella vita ritenendo che "la commedia è stata inventata per correggere i vizi e mettere nel ridicolo i cattivi costumi". In tal modo Goldoni, con la sua riforma tende a trasformare la commedia dell'arte in "commedia di carattere" (cioè in una commedia dove, durante l'intreccio attraverso un susseguirsi di situazioni, si venga a lumeggiare un dato carattere umano),  a dare come substrato alle sue commedie una nota moralistica, un moralismo familiare affettivo, e a modellare lo svolgimento degli episodi, e gli episodi stessi, sulla realtà. Per condurre tale riforma egli deve necessariamente, abbandonare la commedia a soggetto, sottrarre parole e battute alla libertà e alla fantasia degli attori, scrivere il dialogo. Comincia lentamente, scrivendo, in un primo momento, solo la parte del protagonista e lasciando il resto all'improvvisazione: nasce, così, nel 1738 il Momolo cortesan (Girolamo uomo di mondo); è il primo tentativo, riuscito, di imporre al un attore della compagnia dell'arte, Pantalone, una parte scritta di recitare senza la maschera. Nel 1743 dopo altre commedie, scrive per intero la Donna di garbo.

carlo goldoni: i memoires

Goldoni scrisse l'ultima delle sue opere, i Memoires a Parigi in francese, alla fine del 1783, in 3 volumi cioè le 3 parti in cui la narrazione è divisa.
Questo libro di memorie, che percorre a ritroso il lungo tratto della vita del suo autore è la più viva testimonianza della civiltà teatrale del Settecento. Esso ci dà insieme un felice ritratto del Goldoni, il quale ebbe una serena e lieta visione della vita. La sua vita non fu sempre serena e facile: spesso infatti dovette affrontare vere e proprie battaglie e con gli attori e con gli impresari e con il pubblico; spesso dovette accettare contratti di lavoro pesanti e non sempre beni ricompensati. La sua autobiografia si svolge in funzione della missione teatrale cui il Goldoni sembra destinato fin dall'infanzia.

carlo goldoni

Carlo Goldoni nacque a Venezia nel 1707 e morì a Parigi nel 1793. Studiò in varie città. Espulso da Pavia per aver scritto una satira, Il Colosso contro le donne pavesi, si trasferì a Udine con il padre.  Si laureò a Padova. A Verona conobbe il capocomico Imer. Si sposa nel frattempo con Nicoletta Conio. Conobbe il capocomico Medebac, di cui Goldoni sarà il poeta stipendiato fino al 1752. In un solo anno, nel 1750, scrisse e rappresentò 16 commedie ( Bottega del Caffè, Il Bugiardo, Pamela, I pettegolezzi delle donne). Dal 1753 al 1763 fece un contratto con il nobile Vendramin, proprietario del teatro San Luca, e scrisse per lui commedie di carattere storico ed alcune tragicommedie. Nel 1762 si trasferì a Parigi dove compose altre commedie (Il ventaglio, Il burbero benefico). Ormai stanco si ritirò a vita privata mantenendosi con una pensione della Corte. La rivoluzione lo privò dell'assegno concessogli dal re, e soltanto il giorno dopo la sua morte, grazie al poeta Chenier, la pensione fu riconfermata dalla Convenzione.

giuseppe parini: la vergine cuccia

7
Possa perire colui il quale per primo alzò la mano che impugnava lo strumento per uccidere l'innocente agnello e il tranquillo bue: nè i teneri belati nè i muggiti pietosi nè le morbidi lingue carezzevoli addolcirono il cuore duro e poterono evitare il triste destino!
14
Così egli parla, o Giovin Signore e intanto al suo pietoso raccontare esce dagli occhi della tua Dama una dolce lacrimuccia simile alle goccie tremule e brillanti che in primavera scendono lentamente dai tralci delle viti sacre a Bacco, turbati ed eccitati dal soffio tiepido dei primi venticelli fecondatori.
21
Ora le venne in mente il giorno, giorno triste allor quando la sua bella vergine cagnetta, allevata dalle Grazie, scherzando giovanilmente, impresse con un piccolo segno, delicatamente il piede spregevole del servo per mezzo dei suoi denti d'avorio: ed egli osò lanciarla lontano con il suo piede sacrilego; tre volte rotolò scompigliando i peli ed emise dalle molli narici la polvere eccitante.
31
Quindi alzando la voce pareva che chiedesse aiuto; e dai soffitti dorati a lei rispose la servitù: e dalle stanze basse salirono i servi addolorati; e dalle stanze sotto il tetto si precipitarono tremanti le pallide serve. Ogni persona accorse; il volto della tua dama venne spruzzata di profumi; ella alla fine rinvenne; era ancora agitata dall'ira e dal dolore, mandò sul servo sguardi fulminei, e con voce languida chiamò la sua cagnetta: e questa le andò in braccio; nel suo comportamento sembrò chiederle vendetta: e tu ricevetti vendetta, vergine cagnetta allevata dalle Grazie.
46
Il servo scellerato tremò; con gli occhi abbassati ascoltò la sua condanna. A lui non bastò il merito acquistato con un servizio ventennale; a lui non bastò lo zelo e la fedeltà dimostrarti nell'assolvere incarichi delicati; invano da parte sua venne implorato e promesso: egli fu costretto ad andare, privo di quella livrea che lo aveva reso rispettabile presso il volgo. Invano sperò in un nuovo padrone perchè le pietose dame inorridirono e odiarono l'autore di quel misfatto così atroce. Il povero servo dovette recarsi con la povera famiglia sulla via chiedendo inutilmente ai passanti l'elemosina: e tu, vergine cagnetta, idolo placato dalle ambizioni umane andasti fiera.

COMMENTO
Questo episodio è il più celebrato di tutto il poema. Il poeta ci mette in luce due mondi contrapposti: il mondo frivolo e falso dei nobili, descritto con arte sapiente e raffinata, e il mondo della povera gente, quello di una categoria che costituisce il problema di tutti i tempi.

giuseppe parini: il risveglio del giovin signore

1
Il mattino sorge insieme all'alba prima dello spuntare del sole che quindi illumina l'orizzonte e rende lieti tutti gli aspetti della natura.
5
Allora si alza dal suo modesto letto il buon contadino, letto riscaldato durante la notte dai corpi della fedele sposa e dai suoi cari figli; poi mettendo sulle spalle gli strumenti di lavoro, la vanga e la zappa, sacri perchè inventati da Cerere dea dell'agricoltura e da Pale, dea della pastorizia si reca con innanzi a sè il bue, lento a muoversi, e fa muovere lungo il viottolo dai rami ricurvi le goccie di rugiada che, come fossero gemme, rifrangono i raggi del sole nascente.
14
Al sorgere del mattino si alza dal letto il fabbro, e riapre la sua officina, e ritorna al lavoro non del tutto finito il giorno precedente sia che debba rendere sicuri, con una chiave difficile ad imitare o con congegni di ferro, gli scrigni del ricco che è preoccupato per i suoi tesori, sia che debba incidere gioielli destinati ad adornare le novelle spose o vasi d'oro e d'argento per arricchire le mense.
21
Ma tu, Giovin Signore, inorridisci, e a queste mie parole alzi i capelli come un'istrice per orrore e insieme disgusto? Il tuo mattino non è questo. Tu non ti sei seduto alla povera mensa al crepuscolo, e non andasti a coricarti su un misero e scomodo giacilio come è costretto a fare l'umile individuo.
28
A voi, che discendete da Giove, a voi che siete esseri superiori sulla terra, Giove vi ha dato da trascorrere altra vita: e con altri mezzi e altri consigli è necessario che vi guidi per altra via.
33
Tu trascorresti la notte tra le conversazioni di salotto e il teatro dell'opera e le vicende malinconiche ed insieme appassionate dal gioco; e infine stanco scuotesti da lontano dentro il cocchio dorato per l'attrito della corsa sfrenata e il rumore causato dai cavalli, l'aria quieta della notte e superbamente con fiaccole rompesti l'oscurità, così come quando Plutone fece risuonare la Sicilia, dal mar Ionio al mar Tirreno con la corsa del suo carro (sul quale c'era Proserpina da lui rapita) preceduto dalle fiaccole delle furie che hanno delle serpi come capelli.
45
Così tu ritornasti al palazzo, ma qui ti attendeva la mensa, la quale era tutta piena di stuzzicanti cibi e vini pregiati che producono letizia dei colli francesi o spagnoli o toscani, o il vino ungherese Tokay a cui Bacco concedette il titolo di importanza e disse siedi regina della mensa, infine il sonno ti mosse le piume per rendere morbido il materasso ove, non appena fosti accolto tra le lenzuola il fedele servo abbassò le tende di seta poste intorno al letto: e a te dolcemente chiuse gli occhi il gallo che li suole aprire al contadino.

COMMENTO
Come si vede già dalle prime battute del poemetto, il Parini introduce il motivo sociale colto in un determinato momento storico, ma emblematico di una condizione di ingiustizia di sempre e, fingendosi "precettore d'amabil rito" scopre le piaghe di un rapporto-povertà e ricchezza-antico come la storia. Il poeta riesce a far poco per mutarne i termini, ma può, attraverso il sarcasmo indurre gli uomini a riflettere e forse a preferire il mito della vita sana e campestre a quella delle ricchezze male accumulate e dello spregiudicato e superficiale godimento di esse.

giuseppe parini: la caduta

E' un ode.

1
D'inverno, quando cioè la costellazione di Orione nel suo tramontare verso l'Occidente, imperversa e manda sulla terra oscurata pioggia, neve e gelo,
5
la città (Milano) vede me uscire costretto dalla necessità durante la stagione inclemente tra il fango e la furia confusa delle carrozze.
9
E (Milano mi vede) sovente cadere a causa di una pietra che si presenta di fronte sporgente malamente dal selciato o per il passo scivoloso.
13
Un fanciullo sorride e subito riempie commosso gli occhi di pianto nel vedere il gomito o i ginocchi o il mento duramente colpiti per la caduta.
17
Un signore accorre e mi dice: poeta famoso, infelice e degno di un destino migliore e, seguitando a parlare sostiene il mio fianco pietosamente, e mi solleva da terra, e raccoglie dalla strada il cappello sporco e il bastone che si è rivelato inutile;
25
Milano, ricca di pubbliche rendite, ti ammira, ti proclama per ogni luogo poeta sublime, immune dal trascorrere degli anni che non possono scalfire la tua fama; e con insistenza ti spinge perchè tu completi il tuo poema, "Il Giorno", per il quale Milano ti mostra allo straniero che è venuto a cercarti.
33
Ed ecco che, nonostante ciò, sei costretto a trascinare il tuo stanco e debole corpo per l'età avanzata e per i difetti naturali, nelle strade tra il danno di una caduta e la paura di una caduta ancora;
37
nè la tua così ammirata poesia ti fornisce una carrozza anche modesta che ti possa far evitare il pericolo negli incroci delle vie dove esso è più evidente.
41
O uomo che respingi ogni bassezza e viltà! Segui principi diversi, muta i tuoi propositi se vuoi allontanare dal tuo capo canuto pericoli sempre più fatali.
45
Tu non hai parenti di elevata condizione sociale, tu non hai amiche influenti, tu non hai palazzi dove invitare persone potenti, i quali ti possono far preferire ad altri nell'urna del favore dei potenti.
49
Dunque (in mancanza di tutto questo) sali come puoi le scale ripide, per l'umiliazione delle persone potenti; e fai ogni giorno per sentire le anticamere e le stanze dei loro palazzi e dei pubblici uffici delle tue lamentele (onde i potenti si possono commuovere):
53
o non smettere di metterti tra il numero degli adulatori, implorando aiuto di fronte alle porte di quelle persone parassite che spesso però hanno molto potere sui grandi;
56
e grazie a loro entra nelle stanze più segrete dei grandi, e allevia la loro noia narrando novelle piccanti e scurrili.
61
Oppure, se ne sei capace cerca di giungere nelle stanze segrete dei politici dove si decide in segreto il destino dei popoli;
65
e fingendo di aver trovato nuovi mezzi per accrescere le pubbliche entrate, sconvolgi le costituzioni vigenti e nel mescolio che ne deriva arricchisciti con inganno.
69
Ma chi potrebbe mai guarire la tua mente presa da idee di moralità e di giustizia, oppure avviarti per altra via (quella del guadagno e della corruzione) tu che sei un costante ammiratore della tua Arte?
73
Abbandona questa nobile poesia, oppure essa simile ad una volgare commediante calpesti il pudore con il dilettare scurrilmente le basse inclinazioni dei ricchi corrotti che si nascondono dietro il fasto.
77
Infine il mio sdegno, soffocato fin troppo e rompendo dall'intimo del petto, abbatte ogni ritegno; e così rispondo:
81
Chi sei tu, che da una parte sorreggi questo mio vecchio e stanco corpo, mentre tenti dall'altra di avvilirmi? Tu sei umano, ma non sei giusto.
85
Il buon cittadino indirizza il proprio ingegno verso quel fine a cui lo avviarono sia le prime vicende della sua vita, sia la natura, il modo da conquistarsi la stima della sua patria.
89
Quando poi da vecchio e preso dalla povertà, chiede quando è il momento e con discrezione con serenità e dignità.
93
E se i concittadini impietosi a lui voltano le spalle, egli trova difesa contro i mali nella sua dignità fermezza.
97
Nè si avvilisce di fronte a una sciagura, nè si inorgoglisce per i propri meriti. E così dicendo, lascio il mio appoggio e solegnoso mi allontano da lui.
101
Così, gradito per il soccorso ricevuto, rifiuto con solegno i consigli; e privo di rimorsi col vacillante passo ritorno alla mia casa.

giuseppe parini: le odi

Le Odi sono 19 e sono divise in due gruppi.

Le Odi del primo gruppo, composte tra il 1757 e il 1769 appaiono più strettamente legate alla polemica illuministica, morale e, nello stesso tempo sociale e umanistica. Per quanto riguarda lo stile egli cerca di accogliere, accanto alla nitida misura espressiva dei classici, le istanze di un'arte realistica e rivolta all'utile sociale. Sono La vita rustica, La salubrità dell'aria, L'educazione, L'innesto del vaiuolo, Il bisogno.

Con la poesia La recita dei versi si apre il secondo gruppo con il quale Parini raggiunse più alti risultati. Il passaggio dall'impegno riformatore ad una posizione di isolamento morale è segnato da La caduta. Al poeta, caduto per strada, un viandante reca aiuto e riconoscendolo gli suggerisce vari metodi per acquistare ricchezze e agi; il poeta lo ringrazia ed esprime la sua condanna a quei metodi e l'intenzione di tener intatta la propria dignità. In questa ode si nota la denuncia della corruzione della società contemporanea.

Altre odi sono Il pericolo, Il dono, Il messaggio, Sul vestire alla ghigliottina, Alla musa, ebbero queste un'influenza profonda sull'immediato futuro della lirica italiana. In queste odi la poesia è ispirata dall'idoleggiamento della bellezza consolatrice e confortatrice: il poeta cerca di evadere dalle pene della realtà, rifugiandosi in un mondo di obliosa contemplazione. Il Parini rielaborava le suggestioni di una nuova poetica promossa da Winckelmann, destinata ad avere un rilevante sviluppo; la poetica del neoclassicismo (i neoclassici confermano il carattere esemplare dell'antichità, isolano l'arte greca da quella romana. Winckelmann sostiene che nell'Ellade, terra felice dell'arte e della filosofia si attuò un equilibrio mai più raggiunto dallo spirito umano; che le qualità più notevoli dell'arte greca sono grazia, serenità e grandezza; che l'arte moderna più valida è quella che si rifà ai modelli greci). La più bella di queste odi è Il messaggio in cui il dolce vagheggiamento della soave bellezza della giovane donna (Maria di Castelbarco) si colora di pacata malinconia e contenuto rimpianto per l'avvertimento, da parte del poeta, della non lontana fine.

giuseppe pariNI E L'ILLUMINISMO

Importanti furono i rapporti del Parini (1729 - 1799) con la cultura illuministica. Con gli illuministi lombardi concordava molti motivi essenziali:

- la concezione di una poesia impegnata, ispirata alla concreta realtà e volta a correggere e a trasformare la società.
- l'aspirazione ad una vita più aderente alle leggi della natura.
- l'istanza di un radicale rinnovamento della nobiltà.
- l'esigenza di una legislazione intesa più ad educare che a punire.
- la lotta per una generale moralizzazione del costume.
- la necessità di un decisivo ammodernamento dei metodi e delle forme dell'istruzione.
- la difesa del progresso scientifico contro l'avversione dei conservatori e contro l'istintiva diffidenza del popolo tuttora dominato dall'ignoranza e dalla superstizione.

La polemica contro la nobiltà, non si scostava molto da quella del gruppo del "Caffè": il Parini non assumeva la posizione del rivoluzionario, ma del riformatore. Non voleva condannare la classe aristocratica, ma denunciarne vizi e debolezze al fine di un rinnovamento.

Ma c'erano dei motivi che dividevano il poeta dagli illuministi, soprattutto nel campo della vita economica: se per esempio questi incoraggiavano il lusso e i capricci della moda perchè vantaggiosi per il commercio, il Parini non poteva non condannarli come fattori di malcostume e di immoralità.

Contro l'Illuminismo egli non mutò la sua ammirazione per la tradizione letteraria e ritenne per un poeta restare fedele alla disciplina dell'arte. Egli studiò di mantenere il linguaggio su un costante registro di decoro e di eleganza.

il settecento: giambattista vico

Mentre il Muratori considera compito fondamentale dello storico la ricerca dei documenti e l'accertarne l'autenticità per trarre da essi la narrazione dei fatti, Giambattista Vico stima compito dello storico l'intendere le leggi che regolano il progresso ideale della civiltò, e la storia concepisce come svolgimento dello spirito umano.
Il suo capolavoro sono i "Principi di scienza nuova d'intorno alla comune natura delle Nazioni".

Il concetto fondamentale svolto nella "Scienza nuova" è che, mentre il mondo naturale, in quanto è opera di Dio, può essere imperfettamente conosciuto, il "mondo delle nazioni" o "mondo civile", cioè il mondo della storia, certamente è stato fatto dagli uomini; e pertanto, indagando "le modificazioni della mente umana", si possono trovare in questa i principi di quello. Stabilita questa legge fondamentale, Vico così sviluppa il proprio pensiero:

a) lo spirito umano si svolge attraverso tre gradi: senso, fantasia, intelletto: "gli uomini prima sentono senza avvertire, poi avvertono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura": l'uomo dapprima vive istintivamente, privo della coscienza; poi, in un secondo momento, fantasticamente, apprende il particolare e l'individuale ed è tutto pieno di sentimento; infine vive razionalmente (l'uomo, cioè, nella prima infanzia è puramente animale, nella fanciullezza è ricco di fantasia, nella maturità è retto dalla ragione).

b) pertanto la storia, in quanto è prodotto dello spirito umano, ne segue le modificazioni e percorre anch'essa, nel suo svolgersi tre gradi: età degli dei (o del senso), degli eroi ( o della fantasia), degli uomini ( o della ragione), corrispondenti allo stato feroce, allo stato barbaro o eroico, allo stato civile: la storia dell'umanità si svolge andando dallo stato felino a quello civile.

Se non che giunta a questo grado la civiltà si corrompe, trionfa l'anarchia ("ovvero la sfrenata libertà dei popoli liberi"): i popoli come animali pensano "alle particolari utilità di ciascuno " e finiscono nello stato ferino: "dentro lunghi secoli di barbarie vanno ad arrugginire le malnate sottigliezze degli ingegni maliziosi".  E' questa la teoria dei "corsi e ricorsi", "la storia ideale delle leggi eterne sopra le quali corron i fatti di tutte le nazioni, nei loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini", per cominciare poi nuovamente dal primo stadio. Ciò non implica un immobilismo storico e non conduce in un circolo senza uscita; i ricorsi sono uniformi, ma non identici e non escludono il progresso: il Medioevo, fu per tanti aspetti uniforme all'antica barbarie, ma non identico, in quanto esso contiene in sè le conquiste della civiltà cristiana.

il settecento

Reagendo al Rinascimento, il Seicento era giunto, a quelle fastose esagerazioni, strambe figure sovrabbondanti ed esuberanze, stilistiche che formarono il "cattivo gusto". Ci fu una reazione nuova ad esso. Nel 1690 (5 ottobre) a Roma, nei giardini dei Padri Riformati di S.Pietro in Montorio, si erano dati convegno alcuni letterati per un'amichevole ricreazione quando uno dei 14 convenuti forse l'abate Agostino Taia, disse: "mi sembra che noi, oggi abbiamo rinnovellato l'Arcadia". Nacque così l'Accademia dell'Arcadia (accademia = associazione degli individui che svolgono lo stesso mestiere) che ebbe un programma preciso di combattere il cattivo gusto propugnando un ritorno alla lirica del Petrarca e del Cinquecento. Con l'Arcadia, nella pretesa di rappresentare un mondo primitivo e semplice, quello degli umili e dei pastori (infatti il nome Arcadia deriva dalla mitica regione della Grecia antica abitata dai poeti-pastori = pastori che stando in compagnia, amavano poetare in versi), all'ampolloso (gonfioso) si sostituirà il lezioso e lo svenevole (grazioso) e la poesia diventa insulsa e vuota. L'Arcadia assolse un suo preciso compito di rinnovamento e di guida, fino alla metà del XVIII (1750) secolo, quando le ideologie illuministiche pretesero dagli scrittori un impegno serio verso i lettori e verso la società.
I maggiori esponenti dell'Arcadia sono Gian Vincenzo Gravina, Giovanni Maria Crescimbeni, Giovanni Meli e Pietro Metastasio creatore del melodramma (insieme di parole e di musica).

Si può dire che il Settecento offre il terreno per la grande fioritura dell'Ottocento. Importanza ha l'illuminismo (secolo dei lumi cioè della ragione) italiano, con Pietro Verri, che con la rivista "il Caffè" promuove avanzamento civile e sentimento patrio; con Cesare Beccaria (nonno di Manzoni) autore del lirbo "Dei delitti e delle pene" (1764), maestro del diritto mondiale vuole abolire la pena di morte e la tortura.

La storiografia ebbe Ludovico Antonio Muratori e Pietro Giannone. La filosofia si vanta di Giambattista Vico. Nuova battagliera e demolitrice di tutto il passato è la critica letteraria. Saverio Bettinelli e Giuseppe Baretti muovono guerra contro gli imitatori, gli oratori, i letterati non utili alla vita civile. Continuarono le dispute intorno al problema della lingua. Nel 1612 uscì il "Vocabolario della Crusca" e la questione della lingua rimase ferma al dilemma: fiorentino di Crusca o italiano comune?

Dante: Il volgare: illustre, curiale, cardinale, aulico.
Manzoni: la lingua deve essere quella dei "ben parlanti fiorentini".
Fautrice della Crusca e quindi di una posizione conservatrice, è la veneziana Accademia dei Granelleschi fondata dai fratelli Carlo e Gasparo Gozzi.
Oppositrice della Crusca e propugnatrice di un italiano comune è la milanese Accademia dei Pugni, costituita dagli scrittori raccolti intorno alla redazione del "Cafè", Pietro e Alessandro Verri e Cesare Beccana. Chiudono il secolo i tre maggiori poeti del Settecento, il Parini, il Goldoni e l'Alfieri, che concorrono al rinnovamento della letteratura. Goldoni operando la riforma del teatro, fa tramontare la commedia dell'arte e crea quella di "carattere" con la quale porta sulla scena la vita; il Parini, combatte nel "Giorno" contro la nobiltà, frivola e priva di ideali civili e umani, o segnala nelle "Odi" ingiustizie della società contemporanea, dandoci un ritratto di sè uomo e poeta non corrotto; Alfieri con la sua indole ribelle, con i crucci, scontentezze e malinconie è già un "protoromantico" (anticipatore del romanticismo) con la sua fede nell'Italia futura, il suo infinito amore di libertà e l'odio contro la tirannide, egli è padre di tanta letteratura dell'Ottocento che nel patriottismo ha uno dei suoi aspetti più caratteristici.

il seicento: la letteratura barocca

La letteratura italiana del Seicento risulta povera di grandi personalità. L'ingegno del poeta si concentra prevalentemente sulle forme, sforzandosi di supplire alla esiguità dei contenuti con la ricchezza dello stile. Nasce così la poetica barocca caratterizzata dai principi della meraviglia e della sottigliezza, un'espressione elaborata, che deve sorprendere il lettore con le sue metafore ordite. Questo modo di poetare è detto anche marinismo dal nome del poeta barocco, il napoletano Giambattista Marino ("è del poeta il fin la meraviglia..../chi non sa far stupir vada a la striglia" - lo scopo del poeta è meravigliare, chi non sa far stupire vada a far l'asino).
Vicino a Marino e ai marinisti (Claudio Achillini) ci sono poeti e letterati fautori di uno stile più contento, come Chiabrera e Testi.

Grande sviluppo hanno la prosa scientifica (Galileo Galilei) e la critica letteraria ed artistica (Tassoni e Boccalini). Nel teatro si afferma la commedia dell'arte mentre il melodramma (dramma interamente cantato, con accompagnamento musicale; si chiamerà in seguito opera musicale, opera lirica o semplicemente opera) si avvicina sempre più alla moderna opera in musica (Monteverdi e Scarlatti) e la tragedia (Federico della Valle e Carlo Dottori) si arricchisce di nuovi conflitti morali e religiosi. Si scoprono anche, le risorse della letteratura dialettale, che ha il suo capolavoro nel Cunto de li cunti overo lo tratteneimiento de li peccerille o Pentamerone (cioè 50 favole) di G.B.Basile.

il seicento: l'arte barocca

La linea armonica, che era l'aspetto più appariscente dell'arte del '500, si spezza, nel campo architettonico: le linee curve prendono il sopravvento sulle rette.
La stessa tendenza all'ornamentazione si riscontra nella pittura in cui predominano contrasti di luci, colori cupi di tempesta, atteggiamenti che esprimono intensi sentimenti, passioni, estasi. Nella scultura troviamo statue avviticchiate e contorte, figure di marmo in espressioni più o meno retoriche (vuote), di valore esclusivamente decorativo, messe nelle numerose nicchie dei palazzi.

Centro dell'arte barocca è la Roma papale e il primo a incarnarne lo spirito, è Francesco Borromini, architetto, che inizia la sua carriera a Roma nel 1634 con la Chiesa e il Convento di S.Carlino alle Quattro Fontane, poi il Convento dei Filippini, S.Ivo alla Sapienza, S.Andrea delle Fratte. Accanto a lui ci sono Gian Lorenzo Bernini, architetto, scultore, pittore, che innalzò il baldacchino di San Pietro e la Fontana del Tritone, Palazzo di Montecitorio, il palazzo Barberini, il palazzo Odescalchi, il colonnato di San Pietro; Filippo Juvarra architetto messinese costruì la Basilica di Superga, i castelli di Stupinigi e di Rivoli, la facciata del Palazzo Madama di Torino; Luigi Vanvitelli, noto per la Reggia di Caserta.
Nel campo della pittura troviamo Guido Reni di Bologna, Francesco Barbieri detto il Guercino, Salvatore Rosa e Michelangelo Merisi detto il Caravaggio che segna la fine dell'arte rinascimentale e dà avvio all'epoca moderna.

il seicento

La civiltà letteraria del secolo XVII è caratterizzata dal Barocco. Oggi la parola barocco sta a indicare il gusto proprio di tutte le manifestazioni artistiche e letterarie fiorite nel Seicento nei paesi europei e dell'America Latina.

Culla della civiltà barocca furono i paesi di più rigida osservanza cattolica (Italia e Spagna) dove la chiesa si preparava a combattere la sua grande battaglia contro la Riforma protestante, e saltando con la predicazione il sentimento religioso popolare.

Per la chiesa ci voleva un'arte che attirasse i fedeli: nacquero così le chiese barocche, con grandi effetti scenografici. Ma il Seicento fu anche l'età dell'espansione verso il Nuovo Mondo, del progresso scientifico culminante nella rivoluzione copernicana. Lo stile barocco nelle arti PLASTICHE (ceramica, tessitura, creta) e FIGURATIVE (pittura, scultura, architettura) come nella letteratura, è caratterizzato dall'uso e dall'abuso di metafore (consiste nel trasferire ad un oggetto il nome proprio di un altro secondo un rapporto di analogia) e di allegorie, da figure cioè che aiutano a intuire ciò che sensi e ragione non sono in grado di percepire con chiarezza.

torquato tasso: la gerusalemme conquistata

La novità poetica della "Gerusalemme liberata" è subito intuita dai contemporanei, e pochi anni dopo la sua pubblicazione si accende una polemica tra fautori della superiorità del poema tassesco e sostenitori del poema dell'Ariosto, alla quale partecipa lo stesso Tasso con una dignitosa "Apologia della Gerusalemme liberata", in difesa della propria opera (1585).

Tuttavia il poeta, preso da scrupoli religiosi e letterari, sente ben presto il bisogno di rifare il poema e ne trae un infelice "poema regolare". La Gerusalemme conquistata (1593), storica, epica, religiosa, in 24 canti, è dedicata ad un cardinale (Cinzio Aldobrandini, nipote di Papa Clemente VIII): scompaiono Olindo e Sofronia, l'ardente passione di Armida (la quale rimane maga e finisce incatenata per opera dei cavalieri liberatori di Rinaldo sul monte dove sorge il suo palazzo), l'episodio di Erminia tra i pastori. Maggiore sviluppo hanno le vicende guerresche e la descrizione dei luoghi ove essi si svolgono per fornire molte notizie sull'impresa dei crociati.

torquato tasso: la gerusalemme liberata

E' il suo capolavoro, un poema epico in 20 canti, in ottave, ispirato da due motivi:
1) periodo della Controriforma (la vuole celebrare)
2) al rinnovamento delle opere classiche.
L'argomento si ispira ad un fatto storico: la I crociata che si concluse nel 1099 con la liberazione di Gerusalemme e la conquista del Santo Sepolcro. L'esercito guidato da Goffredo di Buglione, pone assedio a Gerusalemme, deciso a liberare il Santo Sepolcro. La maga Armida riesce ad ammaliare vari guerrieri e trattenere l'eroe Rinaldo. Ma quando Rinaldo, torna in campo cristiano le sorti della guerra si capovolgono. I cristiani vincitori entrano in Gerusalemme.

Il Tasso è preoccupato di intrecciare alla storia, episodi amorosi e dilettevoli. Il tema della liberazione del Santo Sepolcro non era argomento che potesse essere trattato con la libertà con cui gli autori di poemi cavallereschi avevano maneggiato le loro storie romanzesche: esso poteva interessare il lettore per i suoi addentellati con la realtà presente e doveva esaltare il credente e il Tasso, con la scelta di un tale tema, poneva la sua candidatura a poeta del mondo cattolico.

Tasso aderisce fedelmente ai fatti storici; svolge i duelli secondo un rigido codice di cavalleria; muove eserciti e manovre di guerra secondo precisi trattati di strategia militare del tempo; articola discorsi diplomatici secondo le più sottili regole di retorica. Perfino la ragion di stato si riflette nell'agire dei suoi re, cristiani e pagani che siano e le seduzioni di Armida, e di Erminia sono calcolate con la mente, sicchè potrebbe dirsi che la "Liberata" sia il poema della mente e del sentimento del Tasso. Della mente (ragionamento) in quanto egli sottopone tutto a un rigido controllo razionale, dai fatti alle parole; del sentimento (cuore), in quanto la sua liricità è più intima e più appassionata di quella dell'Ariosto.

Questa strutturazione del poema portò Tasso a prediligere descrizioni spettacolari e sfarzose: lo spettacolo e la coreografia dominano nella descrizione delle corti pagane e cristiane, nella visione dei paesaggi notturni, nelle albe o nei tramonti, nelle sfilate e nelle parate militari, nei duelli.

La "Liberata" esprime il dissidio interiore dell'anima del Tasso tra sentimenti appassionati e l'aspirazione a un mondo morale e religioso. I suoi personaggi si possono distinguere in due parti: quelli tutti presi dall'amore (Tancredi, Erminia, Armida, Rinaldo); quelli tutti presi dal dovere e dalla ragion di Stato (Goffredo, Argante, Aladino ecc. ). Tutte le eroine e gli eroi del poema vivono sotto l'incubo della sventura e nella malinconia più desolata. Tancredi ama Clorinda, Erminia ama Tancredi, Olindo ama Sofronia, Svevo ama la gloria. Ma tutti corrono verso una meta irraggiungibile. Tutti i personaggi del Tasso sono il riflesso del suo animo malinconico: l'idillio, che nell'Ariosto era abbandono alla gioia dell'amore e della vita, qui diviene elegia, sospiro nostalgico del sogno perduto; la natura, che nell'Ariosto sorrideva nei prati, nei fiori, qui appare nei notturni patetici, dove l'animo invoca il silenzio amico e confida alle stelle lontane l'attesa d'amore; l'amore stesso è esaltato non più nella sua forza virginea e istintiva, ma come rimpianto di un bene perduto.

Accanto all'amore è dominante la malinconia che si manifesta nell'angosciosa solitudine dei personaggi. Solitari sono anche i paesaggi e a questo mondo manca l'unione dei personaggi. Perciò l'ispirazione prevalente della poesia tassesca è la malinconia elegiaca, espressione di una civiltà in crisi, che si chiude nell'angoscia del peccato e nel senso della fugacità dei beni terreni.

torquato tasso: l'aminta

L'Aminta è un dramma pastorale in 5 atti.

Il pastore Aminta ama Silvia senza essere ricambiato; nonostante che Dafne, sua amica, le consigli di cedere all'amore, e che Aminta l'abbia liberata da un satiro (divinità dei boschi avente figura umana, con i piedi e le orecchie caprine e la coda di cavallo o di capra) il quale, legatala ad un albero, le stava facendo violenza, Silvia è sempre restia all'amore. Ma Nerina un giorno narra di aver visto dei lupi intorno a un velo insanguinato di Silvia; Aminta sentita la notizia si uccide buttandosi da una rupe. Silvia, invece che è viva, sentito del suicidio corre ad abbracciare il corpo del giovane con amore. Ma Aminta non è morto: cadendo rimase impigliato nei cespugli. Così i due giovani possono sposarsi felici.

Nel suo significato l'Aminta è un desiderio di vivere a contatto con la natura e amore per la vita. L'amore è il tema dominante che investe tutti i personaggi da Aminta a Dafne, e nell'opera prevalgono toni lirici e musicali.

gerusalemme liberata: erminia tra i pastori

Erminia, figlia dell'emiro di Antiochia, si innamora segretamente di Tancredi da cui è stata fatta prigioniera e poi liberata; resa audace dall'amore, si avvia a curare l'uomo amato, ferito durante un combattimento. Ma, sorpresa fuori delle mura di Gerusalemme da alcuni cavalieri cristiani, si volge in precipitosa fuga e ripara in una ridente campagna non sconvolta dal fragore delle armi. Colà trova ospitalità presso un pastore che ebbe esperienza nei suoi anni giovanili dell'infida e agitata vita delle corti cittadine, e riesce a placare in parte la sua ansia d'amore nell'idillica pace di una natura incontaminata.

Nell'episodio si riflette l'animo del Tasso: il pastore disgustato dalle "inique corti", la sognante ansia amorosa di Erminia, la contemplazione della pace campestre come sicuro porto in cui ripararsi dalle tempeste della vita e dell'amore, riflettono il mondo interiore del poeta e giustificano la meritata fama che il brano ha goduto presso tutti i lettori e i critici: fama tanto più sorprendente in quanto l'episodio di Erminia tra i pastori è una pagina decisamente antieroica in un poema eroico-cavalleresco. La verità è che la descrizione della donna e di questa oasi di pace costituisce un momento essenziale del poema epico-tassesco. Infatti, Erminia è, come è stato scritto "di tutte le figure del poema, quella in cui il poeta ha più pienamente narrato se stesso: o meglio più, eloquentemente espresse le voci elegiache e dolenti dell'anima sua".

torquato tasso: gerusalemme liberata - proemio

Nel proemio Torquato Tasso (1544-1595) in sintesi ci presenta la materia del poema:

a) motivo epico-religioso (versi 1-18): la liberazione del Santo Sepolcro da parte dell'esercito cristiano guidato da Goffredo di Buglione;
b) invocazione (versi 9-24): si rivolge alla Vergine affinchè lo ispiri e al tempo stesso, lo perdoni se per rendere più interessante il suo racconto, abbellirà la materia storica aggiungendovi qualche finzione poetica;
c) motivo encomiastico (versi 25-40): si rivolge poi ad Alfonso II della casa d'Este (casa che discende dal capostipite eroe Rinaldo) pregandolo di accogliere benevolmente il poema e di trarne incitamento per una nuova crociata che, certamente l'occidente cristiano dovrà allestire per sconfiggere definitivamente gli infedeli.

LUDOVICO ARIOSTO : L'ORLANDO FURIOSO

L'AUTORE
La vita di Ludovico Ariosto nato a Reggio Emilia nel 1474, morto nel 1533, si svolge tutta alla corte degli Estensi, a Ferrara. Per 14 anni fu "gentiluomo di camera" al servizio del cardinale Ippolito d'Este: più uomo d'armi e di vita brillante, quest'ultimo, che di chiesa. L'Ariosto ebbe anche incarichi importanti e venne nominato governatore della Garfagnana, dove riuscì ad attenuare la terribile piaga del brigantaggio usando la giustizia anzichè la violenza.
Scriveva sempre in rima e quasi mai in prosa; e il suo poema Orlando Furioso, cominciato nel primo decennio del '500, ebbe enorme fortuna e risonanza. Unico critico severo fu il cardinale Ippolito, che ebbe una frase rimasta famosa: "Messere Ludovico, dove mai avete trovato tante corbellerie?".

LA TRAMA
Tra Francia e Spagna, vicino ai Pirenei, si prepara la battaglia campale fra i Mori e l'esercito di re Carlo. Nelle file cristiane ci sono due poderosi guerrieri, Orlando e il cugino Rinaldo, innamorati entrambi di Angelica. Questa è una fanciulla bellissima e dura d'animo, venuta dall'Oriente. Re Carlo la promette in sposa a chi, fra Orlando e Rinaldo, sarà più valoroso in battaglia. I cristiani vengono però sconfitti e Angelica fugge Altri guerrieri si battono per lei, anche saraceni: il forte Ruggiero, che l'Ariosto immagina come capostipite degli Estensi, la grande famiglia di cui è al servizio; Sacripante, Ferraù.
Orlando, nella sua ricerca di Angelica, salva uomini e donne, riunisce innamorati: provvede insomma a tutti fuorchè a se stesso. E quando viene a sapere che Angelica ha scelto, fra tanti eroi, un ragazzetto qualunque, Medoro, diventa pazzo. Lo guarirà l'intraprendente Astolfo, riportandogli dalla Luna il senno perduto.

IL PROTAGONISTA
Orlando, o Roland, è esistito veramente. Di lui si sa soltanto che fu un conte palatino, morto nel 778 a Roncisvalle, durante il ritorno dalla Spagna di una spedizione guidata da re Carlo, che era suo zio. Nell'opera letteraria, Orlando è quel che si dice un cavaliere senza macchia e senza paura: onesto, prode, tutto d'un pezzo e, salvo l'amore per Angelica, privo di grandi problemi. Non a caso altri autori lo presentarono quasi come un vigoroso sciocco.
Tutt'altre caratteristiche ha Astolfo, il cavaliere che gli restituirà la ragione. E' elegante e immaginoso, in certi poemi anche bizzarro e, soprattutto, poco preoccupato se in un duello viene battuto. Ciò che per un tipo come Orlando costituirebbe una vergogna.

IL VIAGGIO SULLA LUNA
Astolfo gira per l'Europa e l'Africa, visitando regni meravigliosi e fantastici, in sella all'Ippogrifo. E' questo un cavallo alato, bianco, di linea bellissima. L'ippogrifo ha già vissuto con altri guerrieri incredibili avventure, comparendo e scomparendo sui campi di battaglia come farebbe un'aquila. Grazie a lui, Astolfo ha cacciato le Arpie ed è sceso alle porte dell'Inferno; poi sale al Paradiso terrestre, ultima tappa prima del salto sulla Luna dove è custodito il senno di Orlando.
E' l'apostolo Giovanni Evangelista che accoglie Astolfo nel Paradiso terrestre e gli spiega la sua missione. Lega a un carro quattro cavalli rossi come la fiamma e li sprona. Il carro si alza rotando nel cielo e, attraversata una sfera di fuoco che miracolosamente non brucia, si avvicina alla Luna. La prima impressione è quella di una distesa d'acciaio senza macchia; ma poi si vedono laghi, montagne, città come sulla Terra, anche se di diversa forma; e castelli di grandezza mai vista. MA Giovanni e Astolfo non sono dei semplici visitatori. Cercano una vallata stretta fra due dirupi, dove si trova quello che è stato perduto sulla Terra, per colpa propria o per sfortuna. Fra le cose perdute c'è anche il senno di Orlando. La maggior parte delal vallata è ingombrata da lacrime e sospiri di innamorati, dal tempo inutilmente perduto al gioco, dall'ozio degli ignoranti, dai desideri senza importanza. Ma ci sono anche antiche corone di re assiri e persiani, famosi ai loro tempi e ora dimenticati; e così lodi e adulazioni, cose terrene che svaniscono presto. Astolfo vede ancora rovine di città e castelli, ladri e falsari, forme irriconoscibili che un tempo sono state donne bellissime. E finalmente vede delle ampolle. E' là che si deve cercare.
Attraverso la parete dei recipienti appare il liquido molle, che evapora appena si leva il tappo. Alcune urne sono piccole, altre più capaci. Hanno tutte un'etichetta, e i due terrestri si stupiscono nel vedere quanta gente ha perduto totalmente o in parte l'intelletto, senza che altri lo sappiano. Finalmente leggono sull'urna più grande questa scritta: "Senno di Orlando". Il viaggio è finito. Astolfo rimonta sull'Ippogrifo e raggiunge la sua gente. Quando ritrova Orlando scoppia in pianto: l'eroe è ridotto come una bestia. Gli amici, per tenerlo fermo, gli si avventano addosso: ma Orlando è fortissimo e sembra invincibile. Finalmente lo bloccano. Astolfo gli fa aspirare l'ampolla. E' un attimo. Orlando, ridivenuto un essere umano, si guarda attorno stupefatto.

ludovico ariosto: le opere minori

I Carmina 67 componimenti in latino appartengono alla giovinezza poetica dell'Ariosto e sono insieme un utile esercizio letterario. Le Rime in volgare tendono a configurarsi sul modello petrarchesco come un canzoniera incentrato sull'amore per Alessandra Benucci.

Le commedie sono 5: Cassaria, Suppositi, Negromante, Lena, e l'incompiuta Gli studenti (portata a termine dal fratello Gabriele col titolo La scolastica e dal figlio Virginio col titolo L'imperfetta).

Le commedie dell'Ariosto non solo aprono la strada al teatro letterario del Cinquecento - stabilendo alcuni canoni fondamentali: dal prologo ai temi, alla divisione in 5 atti - ma vengono incontro a una passione vivissima dell'ambiente in cui viveva l'Ariosto: vale a dire che sono strettamente legate alla sua condizione di cortigiano e sono concepite per lo spazio reale e culturale della corte. Se le commedie sono storicamente importanti, i risultati sul piano poetico non sono di grande rilievo, se si fa eccezione per la Lena, il capolavoro del teatro ariostesco, nella quale la figura del personaggio eponimo [nome personaggio principale che dà il titolo alla commedia ( una risentita figura di donna, che la miseria e il marito hanno reso disonesta)] permette al poeta una maggiore autonomia rispetto ai modelli classici e gli consente di disegnare uno spaccato della società ferrarese.

orlando furioso: la pazzia d'orlando

Una lenta ma implacabile progressione psicologica segna il trapasso d'Orlando dal suo nobile e patetico amore alla follia: il sogno incubo che lo fa uscire di Parigi, dimentico dell'amore cavalleresco, il lungo ansioso errare per sterminati cammini, simile al vagare senza fine e senza tempo della sua anima, l'evanescente castello d'Atlante, simbolo del suo chiuso dibattersi nel labirinto della passione e, finalmente, la rivelazione del "tradimento" di Angelica, la disperazione e la follia.
Ma sempre l'Ariosto racconta, con un ampia e mobilissima trama fantastica e fiabesca, la storia dell'uomo e del suo cuore. In questo periodo si può vedere quanti reali e veraci siano le reazioni psicologiche di Orlando. La prima rivelazione, il pietoso tentativo di ingannare se stesso, quindi la disperazione, la furia devastatrice, la follia: ogni momento è graduato con arte sapiente e, con una profonda conoscenza del cuore umano anche se la vicenda è proiettata all'esterno in vaghi colori di favola. Rappresentando Orlando, ad esempio, che devasta, come un cataclisma naturale, il luogo sacro all'amore di Angelica e di Medoro e sradica alberi, l'Ariosto non fa che trascrivere nei termini d'azione fantasiosa propria del poema, lo sconvolgimento totale, il crollo, la furia di devastazione e autodistruzione di un'anima.

orlando furioso: il palazzo del mago atlante

I seguenti motivi fanno dell'episodio come un emblema dell'intero poema:

a) il castello di Atlante nel quale i cavalieri si aggirano come smemorati, senza avere occhi se non per quel miraggio che costantemente e vanamente inseguono;
b) l'apparire di questo miraggio come immagine vana e sfuggente in una continua vicenda di illusione e delusione;
c) la mescolanza indifferenziata di realtà e sogno nella quale l'incantesimo magico altro non è che quello stesso che noi ci creiamo nel gioco delle nostre passioni effimere.

L'uomo qui appare come è nella vita: schiavo, spesso, di un mondo di parvenze, nate dal suo stesso animo quando abbandona la strada serena e sicura additata dalla ragione, dalla saggezza. Orlando vede Angelica che invoca il suo aiuto; non quella vera -  che giunge in seguito anch'essa al castello, resa sicura dagli incanti del suo anello fatato, e guarda, non vista, i cavalieri erranti dietro i loro desideri vani - ma il fantasma di lei creato, piuttosto che da Atlante, dal suo stesso tenero e patetico amore. Così avviene degli altri: hanno magari vicino ciò che cercano ma non lo scorgono se non nella proiezione deformata e fantastica del loro desiderio.

proposizione e angelica in fuga

L'Orlando Furioso continua l'argomento dell'Orlando innamorato del Boiardo, cantando, come avverte il poeta, "le donne, gli amori, le cortesie" (motivi ciclo bretone) e i "cavallier, l'arme, l'audaci imprese" (motivo ciclo carolingio) che si svolsero nel tempo in cui l'esercito degli Infedeli si accampò presso Parigi sotto la guida del Re d'Africa Agramante, desideroso di vendicare il proprio padre Troiano e il Re di Spagna Marsilio.

Nella dedica del poema fatta al cardinale Ippolito d'Este, l'autore esprime inoltre, l'intenzione di celebrare la famiglia estense come discesa dal valoroso Ruggero: tutto quindi, o quasi, nasce sotto il segno della fantasia.

L'invasione della Francia da parte degli Arabi, fermati a Poitiers nel 732 d.C. da Carlo Martello, avvenne effettivamente.

In questo poema invece si riprende la leggenda carolingia rinnovata da Boiardo, che colloca tale invasione al tempo di Carlo Magno. Il poeta entra subito in argomento: i valorosi paladini, Orlando e suo cugino Rinaldo, entrambi innamorati di Angelica intendono contenderla con le armi; ma Carlo, per scongiurare un simile fatto dannoso per tutto l'esercito cristiano affida la bellissima Angelica (figlia del Re del Katai, Galafrone, venuta nel campo cristiano a seminare discordia) al vecchio Namo (Duca di Baviera) promettendola in premio a chi dei due paladini avrebbe offerto prove maggiori di valore nell'imminente battaglia sotto le mura di Parigi; ma la battaglia volge a favore degli infedeli e, approfittando della confusione, Angelica fugge, inseguita sia da Rinaldo sia da un altro innamorato, il saraceno Ferraù; alla fine stanca credendo di essere ormai lontana, da Rinaldo, si adagia in un cespuglio e si addormenta.

orlando furioso: motivo epico, amoroso, encomiastico

MOTIVO EPICO
Verso 1
Io canto le vicende militari (ciclo carolingio) e amorose (ciclo bretone) che avvennero al tempo in cui i Mori passarono in Francia a capo di Agramante che intendeva vendicare il padre e arrecar danno alla Francia (re Carlo Magno).

MOTIVO AMOROSO
Verso 9
Parlerò di Orlando in modo originale se la mia donna (Alessandra Benucci) che mi reso simile ad Orlando e che mi logora l'ingegno me ne lascerà un pò per poter compiere l'opera.

MOTIVO ENCOMIASTICO
Verso 17
O Ippolito d'Ester possiate gradire ciò che questo umile servo dona. Io ciò che vi debbo lo posso in parte dare attraverso la poesia, nè posso essere accusato di dar poco poichè è tutto ciò che possiedo.
Verso 25
Voi sentirete parlare di Ruggero (guerriero saraceno che alla fine si convertirà al Cristianesimo) che è il vostro capostipite. Vi farò ascoltare le sue gesta, se voi per un pò lascerete gli impegni politici e religiosi.

ludovico ariosto: l'orlando furioso

Il genio di Ludovico Ariosto (1474-1533) si rivela nell'Orlando Furioso un poema cavalleresco in 46 canti. Le tre edizioni (1516; 1521; 1532) mostrano che per tutta la vita il poeta vi attese con applicazione studiosa.  Non è facile riassumere il poema, data la varietà degli episodi ma in genere si è soliti dividere la trama in tre argomenti fondamentali:

- il primo motivo epico-religioso impostato sulla guerra tra Carlo Magno e i Mori, condotti da Agramante, con la vittoria finale dei cristiani;
- il secondo motivo encomiastico (ringraziamento) impostato sulle vicende amorose di Bradamante e Ruggero capostipiti della dinastia estense;
- il terzo motivo amoroso, l'amore e la pazzia di Orlando per Angelica.

Il Furioso è l'espressione della civiltà del rinascimento italiano. I personaggi del Furioso sono concepiti secondo una nozione rinascimentale della vita e Orlando e Ruggero mostrano il loro limite: il primo, non riesce a far sua Angelica; il secondo cede alla seduzione, come ogni essere umano. Angelica anche lei è vinta dalla passione per il fante Medoro (la fortuna = il senso del limite).
In questo contatto con la vita il suo limite è la caratteristica rinascimentale, in quanto l'Ariosto è poeta dell'uomo in un senso tutto terreno; di un uomo cui tutto è possibile, ma al quale anche i successi potranno riuscire contrari ai voti, e la cui saggezza sta nel riconoscere la limitatezza della "virtus" e la forza superiore della fortuna, proprio come l'eroe di Machiavelli che, anche lui, governa il mondo solo per metà, in quanto l'altra è dominio della fortuna. Il poema va dalla malinconia fino a episodi più alti.

- castello incantato di Atlante, è cantata la follia degli uomini prede delle proprie illusioni;
- amore e pazzia di Orlando, la debolezza della nostra ragione trova una sua dimostrazione epica nello slancio con cui l'eroe abbandona tutto a un tratto il campo in pericolo per mettersi "l'amorosa inchiesta" di Angelica, e vi perde in senno;
- viaggio d'Astolfo sulla luna, è di nuovo il canto, ludicissimo e sorridente di malinconica arguzia, sulla debolezza dell'intelletto umano e sulla facilità con cui ciascuno di noi lo perde.

L'intervento dell'autore si avverte soprattutto nella moralità, rapide osservazioni che condensano volta per volta il significato delle vicende in una semplice, quotidiana, eppure profonda saggezza; e nell'ironia in quel sorriso leggero che trascorre per tutto il poema e rappresenta l'atteggiamento indulgente e comprensivo con cui il poeta contempla le azioni dei suoi personaggi, facendoci discretamente avvertire dietro, gli abbandoni fantastici del sogno, la presenza di una coscienza vigile che osserva realisticamente uomini e cose. Ariosto ha un'anima affabile, indulgente e serena non ignara, però, delle difficoltà nel vivere che sa guardare le miserie e le meschinità degli uomini, con lo sguardo lucido e disincantato del Machiavelli, ma tende ad un ideale mediocrità, nel senso latino cioè alla misura spirituale e morale, all'equilibrio di chi non si lascia dominare dalle chimeriche speranze nè dalle angosciose delusioni, dal sogno oblioso o dalla realtà meschina. E' qui la radice di quell'armonia del poema che i critici hanno sottolineato: conquista morale e nello stesso tempo artistica; perchè quella visione complessa e vasta, fiduciosa e serena della vita è il risultato di una continua ricerca di una costruzione sapiente intesa a ritrovare e ad affermare un superiore ordine nell'apparente caos della vita.

ludovico antonio muratori e pietro giannone

La personalità del Muratori è una delle più importanti del Settecento e della nostra storia culturale: egli instaura il metodo della ricerca esatta dei documenti ed il controllo paziente delle testimonianze per assicurarsi della loro autenticità; ed è pertanto un vero maestro della storia filosofica (scienza che studia la lingua e la letteratura dei popoli deducendolo dai testi scritti); conduce un'indagine sistematica su tutta l'età medievale e rivaluta il nostro Medioevo, avvertendo giustamente che in esso non nell'età romana, era l'origine della moderna nazione italiana.

Con il Giannone si ritorna alla concezione polemica e tendenziosa della storia; infatti rivive nelle sue opere la polemica antiecclesiastica che fu già del Sarpi e prima del Machiavelli. Il Giannone sostiene i diritti dello Stato contro ogni ingerenza della Chiesa aperta al sogno di una umanità spiritualmente rinnovata e ritornata ad un ideale stato di natura.

la storiografia del 1700

Nel primo Settecento si sente l'esigenza di un rinnovamento della cultura italiana, compiuto mediante l'esame delle nostre tradizioni e della civiltà europea. Con la loro opera di ricerca scientifica rigorosa, questi eruditi (colti) preparano i materiali per una nuova storiografia, fondata sull'esame della civiltà in tutti i suoi aspetti. Il maggiore di essi è Ludovico Antonio Muratori ("Rerum Italicarum Scriptores" "Antiquitates Italicae Medii Aevi" "Annali d'Italia") ma anche significativa l'opera di Pietro Giannone ("Istoria civile del Regno di Napoli" "Triregno").

storici: sforza pallavicino

A confutare la tesi del Sarpi, e a mettere in evidenza gli errori, il gesuita e cardinale Sforza Pallavicino (Roma, 1607-1667) scrive per incarico della Curia, con uno stile piuttosto ricercato e freddo un'altra "Storia del Concilio di Trento", la quale ha però su quella del Sarpi il vantaggio di essere più documentata, avendo avuto l'autore la possibilità di consultare il carteggio nelle Biblioteche Vaticane.

storici: paolo sarpi

Nella "Istoria del Concilio Tridentino" il Sarpi (Venezia 1552-1623) narra principalmente la preparazione, lo svolgimento, la conclusione del Concilio controriformistico di Trento e le vicende della riforma in Germania, in Inghilterra, in Francia e tende a dimostrare che il concilio, anzichè rinnovare la morale e l'unità cristiana della Chiesa, come si era proposto aveva di questa rafforzato il potere temporale e politico. E' dunque, la vicenda raccontata dal Sarpi, quella  di un grande ideale fallito, di una illusione crollata rievocata con uno sguardo lucido ed implacabile; con uno stile apparentemente freddo ed obiettivo, ma sentito, pervaso da una sconfortata e cupa amarezza. Per quanto riguarda la concezione della storia, il Sarpi la vede esclusivamente sotto l'aspetto politico, seguendo l'insegnamento di Machiavelli e Guicciardini, con scarsa comprensione dell'importanza che hanno in essa i grandi ideali e gli affetti più nobili. Egli avverte la presenza della Provvidenza, ma la sente come qualcosa di imperscrutabile e misterioso, mentre l'azione umana gli appare fragile ed effimera irreparabilmente travolta da egoismi e passioni. Nasce di qui il suo rassegnato pessimismo, congiunto ad un sentimento grave di tristezza.

storici e politici del 1600

La Storiografia del Seicento è dominata, come quella rinascimentale, dall'interesse per la politica come scienza e come tecnica; in essa possiamo distinguere due correnti: una controriformistica (tra gli autori il Gesuita e Cardinale Sforza Pallavicino); l'altra antispagnola e anticontroriformistica (tra questi Paolo Sarpi).

storici: giovanni botero

L'aspetto più importante del Botero va nell'attenzione che egli portava ai fattori oggettivi - il clima, la situazione geografica - che gli si presentano come fattori determinanti dello sviluppo storico. Non meno interessante è la teoria della "ragion di Stato". Perchè il Botero è il primo che avverte con chiarezza il problema di ritrovare un nesso tra politica e morale, questo nesso viene cercato in un compromesso per cui il principe cerca di seguire l'onesto senza trascurare l'utile (e quando serve la forza) e la morale e la religione cercano di aiutare il principe nell'assolvere il suo compito.

storici: paolo paruta

Il Paruta si rende conto di un problema importante, la differenza fra storia, come interpretazione dei fatti e cronaca come pura narrazione degli avvenimenti, ma dà al problema la soluzione tradizionale attribuendo alla storia il compito di fornire ammaestramenti per il presente. In questa funzione educativa può trovarsi l'indicazione dell'atteggiamento fondamentale del Paruta che tende ad una sovrapposizione della morale alla politica (chi governa è morale in quanto cerca di realizzare la felicità di tutti).

storici

In coincidenza con le tendenze della cultura nella seconda metà del '500, comincia a svilupparsi una storiografia colta preoccupata soprattutto della ricerca e del confronto delle fonti.
Si distinguono in essa Carlo Sigonio, Scipione Ammirato, Cesare Baronio. E' in consonanza con le medesime tendenze si afferma anche il tacitismo che trova la sua prima manifestazione nella "Storia fiorentina" del Varchi (che narra in sedici libri gli avvenimenti compresi fra il 1527 e il 1538). Il tacitismo (cioè quella tendenza che a torto o a ragione si richiamava agli Annali di Tacito e assumeva come suo modello ideale Tiberio) per un verso vuol negare la distinzione posta da Machiavelli fra politica e morale, per un altro vuol giustificare, sul piano morale, la tirannide in nome delle esigenze generali dello Stato e della comunità. Infatti gli scrittori di politica non possono non constatare quanto di vero vi è nelle affermazioni del Machiavelli; e insieme rilevare che sovrani e principi machiavellicamente seguono i precetti del "Principe"; per la quale cosa cercano un compromesso tra morale e i governi assolutistici, allora imperanti nei paesi cattolici camuffando la parte più incriminata del "Principe", con un espediente: sostituiscono al culto di Livio, maestro di istituzioni repubblicane ammirato dal Machiavelli, quello di Tacito, storico dell'impero e precisamente di Tacito scrittore degli "Annali", nei quali sono descritti la tirannide di Tiberio e il suo modo astuto con cui attuò l'assolutismo: i suoi sistemi di governo, presentati con risalto da Tacito sono mostrati come giustificazione dei regimi assolutistici del tempo, e Tiberio diviene il tipo perfetto del sovrano.

 

storici e memorialisti

La Storiografia (interpretazione dei fatti) del Rinascimento è molto ricca e subisce l'influenza del Machiavelli, anche quando mostra di ignorarlo. Le vicende vengono fatte risalire ai caratteri degli individui, ai loro interessi, alle loro ambizioni (concezione prammatica della cosa) tanto che l'analisi delle azioni, delle intenzioni fa smarrire il quadro d'insieme e pregiudica la possibilità di un vero giudizio storico.

Gli storici più interessanti fanno parte della schiera degli esuli fiorentini, banditi dalla loro città dopo la caduta della repubblica e il ritorno dei Medici. I rappresentanti sono: Donato Giannotti e Jacopo Nardi.

 

la commedia dell'arte

Tipo di spettacolo, fiorito in Italia a partire dalla seconda metà del secolo XVI, fino alla metà, circa, del secolo XVIII.

a) attori professionisti
b) improvvisazione
c) canovaccio (appunti con nomi, il fatto in generale)
d) nascono le maschere (ogni persona indossava sempre la stessa maschera)

I lazzi (elementi che tengono in piedi lo spettacolo). Erano tra gli elementi fondamentali di questo tipo di spettacolo, affidato completamente  all'abilità dei comici.

Scartafacci. Scenari o raccolte di questi, proprietà gelosa delle singole compagnie.

La commedia dell'arte si sviluppò nel cinquecento, e fu forma d'arte decisamente contrapposta a quella classicheggiante, che invece rispondeva a una concezione dell'arte estremamente aristocratica, aulica, cortese, quale poteva fiorire nelle corti rinascimentali. I personaggi delle vicende erano poi sempre gli stessi; giovani innamorati, ingenui e sinceri, che ripongono il loro amore in fanciulle o giovani sconosciuti e che poi si scoprono figli di personaggi ricchi e influenti. Accanto a questi personaggi ricchi, c'erano i servi che usavano il dialetto che dovevano divertire il pubblico.

ARLECCHINO
Barba nera, mezza maschera nera, berrettone sulla testa, il cinturino, borsa e spada di legno. Di Bergamo è un miscuglio di ignoranza e arguzia, si semplicità e di malizia, credulo, ghiottone, sempre innamorato.

BRIGHELLA
Rappresenta l'intrigo e la cabala; vivace, insolente, chiacchierone, è un servitore prezioso perchè fa qualunque mestiere.

DOTTOR BALANZONE
Di Bologna; filosofo, medico, avvocato, parla di tutto, dice più insulsaggini che parole. Vestito di nero come gli scienziati.

PANTALONE
Calzoni rossi, berretto di lana, pianelle turche. Di Venezia, intrigante, è il borghese veneziano personificato, è padre di due figlie di nome Isabella e Rosaura che complottano con le cameriere Colombina e Lisetta.

PULCINELLA
Napoletano è un miscuglio di coraggio e di poltroneria, rappresenta il popolo napoletano.

La commedia dell'arte si sviluppò dapprima nel Veneto, a Padova, a Venezia. Essa godette grande fortuna soprattutto alla fine del Seicento e nei primi decenni del secolo seguente decadde in modo definitivo dopo l'avvento del teatro goldoniano.

la commedia

Commedia: composizione drammatica a lieto fine, in versi o in prosa, che generalmente ritrae fatti e personaggi della vita quotidiana.
E' forse stata detta così per l'accoglienza che ebbero i comici nei villaggi dove recitavano sulle piazze.

Il teatro comico italiano del Cinquecento conosce, oltre a un capolavoro come la Mandragola di Machiavelli, varie opere che traggono rilievo e forza espressiva dalla personalità non comune dei loro autori. Fra le cose più vive di questo teatro è la Calandria del Bibbiena, che svolge il tema d'amore nei suoi due aspetti, l'uno serio ed affascinato, giocoso e burlesco l'altro.

Opere di scuola sono invece le commedie dell'Ariosto le prime scritte in volgare (Cassaria, Negromante, Suppositi, Lena, Scolastica) anche se ebbero notevole importanza storica. Fuori dagli schemi della commedia classica vive il teatro del Ruzante di cui il protagonista è il contadino con la sua particolare sensibilità morale e la sua vita elementare e rozza, condizionata dalla miseria e dall'incultura.
Un discorso a sè merita la "commedia dell'arte" che allora nacque e che ebbe ampio svolgimento nei due secoli seguenti. Delle commedie italiane del Seicento, un certo rilievo hanno quelle di Michelangelo Buonarroti il Giovane.

Il capitolo più importante nella storia della commedia italiana, è quello relativo alla "riforma" di Carlo Goldoni; in tal modo moriva la commedia dell'arte e nasceva la commedia "seria" che, assieme a quella "lagrimosa" preludeva al dramma.

 

francesco guicciardini: storia d'italia

La Storia d'Italia segna l'abbandono della politica e l'approdo alla storia. Messo ormai in disparte senza poter intervenire sugli eventi a Guicciardini non restava che il tentativo di comprendere il reale. Giucciardini si rende conto che la crisi di Firenze e il fallimento politico della sua classe è dovuto a cause più profonde e complesse che non possono spiegarsi solo all'interno della Storia di Firenze ma si ricollegano alla più vasta Storia d'Italia.

Gli errori, l'incapacità hanno rotto alla fine del '400, quel periodo di politica di equilibrio perseguita da Lorenzo il Magnifico che aveva dato lunghi deceni di pace. Si costituì così un vuoto di potere di cui ne approfittarono le potenze europee (l'ago della bilancia italiana ha tenuto in piedi l'Italia per 40 anni, ha tenuo insieme le contrade italiane 1454-1494. L'Italia restava in pace non per Lorenzo ma perchè ogni stato aveva paura dell'altro).

L'opera parte, infatti, dal crollo del felice equilibrio realizzato da Lorenzo dei Medici e spezzato dalla calata di Carlo VIII e giunge fino alla morte di Clemente VII (1534).
La Storia d'Italia è l'opera fondamentale e il traguardo conclusivo del pensiero del Guicciardini, l'unica destinata alla pubblicazione. La Storia d'Italia è la narrazione di un grande periodo di crisi e la vicenda di questi anni si presenta agli occhi del Guicciardini come un immenso palcoscenico nella quale si incontrano e si scontrano le ambizioni, gli interessi, le cupidigie degli uomini ai quali egli ora guarda con una considerazione disincantata che può ispirare pagine di solenne tristezza, di lucida analisi (riconosce che l'Italia è ormai allo sfacelo).

francesco guicciardini: storia fiorentina.

Già nella giovanile Storia fiorentina che va dal Tumulto dei Ciompi (1378) fino al governo di Pier Soderini (Battaglia di Ghiaradadda 1509) troviamo le caratteristiche fondamentali del Guicciardini storico.

Guicciardini rivela un interessamento per i maggiori personaggi del tempo, da Lorenzo il Magnifico al Savonarola e introduce come criterio d'interpretazione l'esigenza di un governo sottratto sia al predominio popolare sia a quello del tiranno.

Innanzitutto (condivide il pensiero di Machiavelli) di far risalire le cause dei vari avvenimenti soltanto agli uomini escludendo ogni intervento di carattere trascendente.

In seguito l'idea propria: un'analisi accurata, dei vari elementi che determinano un certo avvenimento e, insieme, una capacità di penetrazione psicologica, di intuizione delle sfumature più sfuggenti, di rappresentazione di personaggi ad ambienti che rilevano l'occhio del grande scrittore.

Guicciardini si accinge a riepilogare la storia recente della sua città proprio nel momento in cui si registra la crisi della repubblica popolare del Soderini ed una ripresa della fortuna politica dei Medici. Il suo giudizio accomuna nella stessa accusa tanto il regime popolare quanto quello tirannico e personale dei Medici che aveva impedito la realizzazione di un governo stabile e di buoni ordini.

francesco guicciardini: del reggimento di firenze.

E' un dialogo in 2 libri che si finge tenuto, subito dopo la cacciata di Piero de Medici da Firenze in seguito alla calata di Carlo VIII (1494).

Mette in luce i difetti del sistema monarchico dei Medici e di quello repubblicano. Propone una forma di governo mista come la Repubblica di Venezia nel quale il potere di un gonfaloniere a vita fosse moderato e controllato da un Consiglio e da un Senato formato dai rappresentanti delle famiglie più agiate.

francesco guicciardini: le considerazioni sui discorsi del machiavelli

Guicciardini in queste pagine discute una serie di affermazioni che si trovano nell'opera del Machiavelli (prende in esame 38 capitoli dei Discorsi). Guicciardini parte dicendo che gli ordinamenti romani non possono essere assunti come modelli per il presente. Da questo principio egli può contestare una serie di affermazioni del suo amico: non vuole essere l'invito a riprodurre meccanicamente i modelli dello Stato romano, ma vuol essere la proposta di forme di vita e di organizzazione politica e sociale che in quegli ordinamenti sono simboleggiati. Il Guicciardini può respingere anche il progetto unitario del Machiavelli sostenendo che l'unità politica non è una condizione migliore del frantumamento in tanti principati, soprattutto in un paese come l'Italia dove era sempre stato vivissimo il senso dell'autonomia cittadina e regionale e altissima l'ispirazione alla libertà dei singoli comuni.

francesco guicciardini: ricordi politici e civili.

Il Guicciardini delinea la sua figura del "savio" che fonda la propria scienza non sui libri ma sull'esperienza, sulla pratica quotidiana; qui manifesta il suo pessimismo e il suo scetticismo sulla capacità dell'uomo e sulla sua buona fede, mentre la fortuna sembra assumere un rilievo e una proporzione superiori alla capacità umana. In quest'opera esprime le sue supreme speranze politiche ("tre cose desidero vedere innanzi alla mia morte: ma dubito ancora che io vivessi molto, non ne vedere alcuna: uno vivere di repubblica bene ordinato nella città nostra, Italia liberata da tutti e barbari, e liberato il mondo dalla tirannide di questi scellerati preti"), ma nello stesso tempo mostra il suo scetticismo circa la sua realizzazione.

francesco guicciardini: pensiero politico

Il pensiero politico di Guicciardini racchiuso particolarmente nelle "Considerazioni sui discorsi del Machiavelli" e nei "Ricordi politici e civili" non ha la sistematicitò e l'organicità di quello di Machiavelli.

Le sue osservazioni sono frammentarie, occasionali e hanno più tono critico-analitico che costruttivo, e riflettono uno stato d'animo amareggiato e deluso dalla politica, di cui Guicciardini non fu osservatore come Machiavelli ma fu primo attore e consigliere responsabile. Assistè alla sconfitta del papa Giulio de Medici (Clemente VII) nella guerra contro Carlo V (Lega di Cognac, 1526) e al sacco di Roma (1527); vide il capovolgimento politico operato dal papa e dai Medici, che si allearono con Carlo V pur di rientrare a Firenze. Tanto Machiavelli quanto Guicciardini muovono dalla realtà e dallo studio dell'uomo, ma mentre il primo da quello studio si sforza di dedurre le leggi universali che regolano la storie e l'azione politica, Guicciardini concentra la sua attenzione sull'irripetibile vicenda concreta, analizzando il fatto e le conseguenze particolari che ne discendono.

Per lui la formulazione di una teoria politica è quanto mai rara, perchè le cose contingenti presentano sempre aspetti nuovi e all'individuo che opera nella realtà viva non giova la dottrina desunta dalla storia, ma una certa tecnica o facoltà psicologica, la discrezione, che è la capacità di adattarsi alle circostanze e capire le cause che le determinano: eroe del Giucciardini è dunque non il "virtuoso" celebrato dal Machiavelli, ma il "savio", che con lucida intelligenza si accomoda alla realtà senza pretendere di mutarla.  Mentre il principe di Machiavelli era concepito come plasmatore di uno Stato collettivo, l'uomo del Guicciardini è isolato dalla società, curante solo del suo "particulare". Se il "particulare" è il punto d'approdo della "discrezione", esso per altro non va inteso come meschina ricerca di un tornaconto personale e materiale, ma nel significato più nobile di affermazione della propria personalità, della propria dignità e del proprio onore. A rendere ancora necessario il pessimistico ripiegamento del Guicciardini nel "particulare" è la consapevolezza del dominio prepotente e ineluttabile che la fortuna esercita sugli uomini, rendendo impossibile qualsiasi pretesa di incanalare gli eventi o peggio, qualsiasi programma per il futuro (così l'uomo guicciardiniano non domina più nemmeno per metà la storia). D'altra parte la chiusura nel "particulare" è implacabilmente dedotta dall'amara considerazione della natura degli uomini che sarebbe anche inclinata al bene se non fosse traviata; e corrotta dalle mille tentazioni della vita e della realtà fermentate di desideri di appetiti inconfessabili, si sciocchezze, di truffe, di tradimenti e priva di ogni luce ideale.

niccolo' machiavelli: gli scritti letterari.

Rispetto agli scritti di politica e di storia un rilievo senza dubbio minore hanno gli scritti letterari del Machiavelli. Fra i primi possiamo collocare i Canti carnascialeschi che si rifanno a certi aspetti minori della vita della città: la favola di Belfagor arcidiavolo (o il diavolo che prende moglie), che riprende scherzosamente i temi della polemica misogina (contro le donne); il rifacimento in versi dell'Asino d'oro; le Rime, di assai scarso valore.

Più legati invece agli interessi del Machiavelli sono i Decennati sulla "ruina" d'Italia. Un posto  parte, nell'ambito delle dispute sulla lingua, ha il Dialogo intorno alla lingua dove, in polemica con il Trissino e la sua interpretazione del De vulgari eloquentia, si afferma la superiorità del fiorentino parlato e si esprimono le tendenze artistiche e le tendenze letterarie dello scrittore.

Grande validità ha il teatro machiavelliano: l'Andria, la Clizia e soprattutto la Mandragola.

niccolo' machiavelli: le opere storiche e letterarie. la mandragola.

Commedia composta nel 1518, è in 5 atti, in prosa e in volgare ed è ritenuta la più bella commedia del '500.

L'anziano messer Nicia e la sua bella moglie Lucrezia sono delusi di non aver figli. Di ciò e della balordaggine di Nicia approfitta Callimaco, innamorato di Lucrezia. Con l'aiuto del mezzano Ligurio si fa passare per un famoso dottore e assicura a Nicia che Lucrezia avrà un bambino se berrà una pozione di mandragola (erba velenosa) ma che è morte certa giacere con lei subito dopo. Persuasolo poi che bisogna trovare un poveraccio che si presti all'opera quella notte, a convincere Lucrezia si apprestano la sua sciocca madre Sostrata e il cinico fra' Timoteo. Naturalmente è Callimaco travestito che quella notte sarà nel letto di Lucrezia: la quale, appresa la leggerezza del marito, non esiterà a eleggere Callimaco suo signore.

La società rappresentata nella commedia è una società corrotta e destituita di ogni senso morale: sciocco e ripugnante il vecchio Nicia, egoista e babbeo, amorale e fraudolento Callimaco; volgare ed ambigua nella sua accondiscendenza e nella sua complicità la madre Sostrata; turpe nella sua furberia e nella sua ipocrisia il frate; e Lucrezia l'unico personaggio "positivo" della vicenda che in una notte d'amore, strappatele a forza di inganni riscatta la sua condizione di malmaritata prendendo coscienza dei diritti della sua giovinezza trasformando la sua virtù coniugale in virtù machiavellica.

niccolo' machiavelli: le opere storiche e letterarie. le istorie fiorentine

In 8 libri dedicati a Clemente VII, abbracciano la storia italiana dalla caduta dell'impero romano fino al 1492 (morte di Lorenzo il Magnifico). E' la storia di una città qual'è stata, ma quale non avrebbe dovuto essere se avesse saputo far tesoro della lezione di Roma repubblicana.

niccolo' machiavelli: le opere storiche e letterarie. la vita di castruccio castracani.

Nella quale si tratteggia, partendo da una biografia reale, il profilo ideale del principe.

niccolo' machiavelli: i 7 libri dell'arte e della guerra.

In forma di dialogo, trattano sulle milizie.

Le prime teorie del Machiavelli si riducono all'affermazione che il servizio militare debba essere non un mestiere, bensì un dovere da parte dei cittadini verso la patria e la loro libertà. Però questo esercito deve essere preparato nel momento del bisogno e del pericolo. Inoltre afferma la superiorità della fanteria rispetto alla cavalleria e alle stesse armi da fuoco (di cui Machiavelli sottovaluta i possibili sviluppi).

niccolo' machiavelli: le opere politiche. i discorsi sopra la prima deca di tito livio.

Iniziati nel 1513, ma terminati nel 1521, sono in 3 libri e contengono una serie di considerazioni teoriche, dedotte dalla storia romana, secondo la narrazione che ne fa Tito Livio nella prima "deca" (dieci libri) della sua "Storia di Roma".

Nel primo libro si discorre degli elementi che concorrono alla formazione dello Stato.
Nel secondo libro delle forze armate (le milizie devono essere cittadine e non mercenarie e ausiliarie).
Nel terzo libro dell'origine e della decadenza degli stati.

Il principio che collega tutta l'opera è che a fondare uno stato occorre l'opera di un principe, ma al suo mantenimento debbono concorrere tutti i cittadini, organizzati in una "repubblica". Lo stato è l'unico mezzo per attuare una società civile tra gli uomini e perciò ogni forza deve essere diretta alla conservazione e allo sviluppo di esso. (Condanna alla tirannide, il riconoscimento della duplice funzione positiva, morale e civile della religione, quando si mantenga genuina ed incorrotta).

niccolo' machiavelli: esortazione a liberare l'italia dai barbari

I motivi contenuti in questo capitolo (ultimo) del "Principe", si possono suddividere in sette parti essenziali:

Condizione dell'Italia. L'Italia si trova al presente battuta, spogliata, lacera, corsa da eserciti stranieri, e quindi in condizioni tali da offrire ad un principe nuovo l'occasione di dar prova della sua virtù.

Speranza sulla sua redenzione. Qualche barlume di speranza si è già mostrato in alcuno (allude al Valentino). Ma poi la fortuna gli è stata avversa. Perciò l'Italia aspetta chi possa sanarle le ferite.

Esortazione a Lorenzo il Magnifico (Duca di Urbino). L'Italia può solo sperare nella casa dei Medici, la quale con la sua virtù e fortuna favorita da Dio e dalla chiesa può mettersi a capo della sua redenzione.

La più grave debolezza della società italiana. Per il Machiavelli sta nella mancanza di una classe dirigente responsabile.

Necessità di una milizia nazionale. La casa dei Medici deve provvedersi di armi proprie, vero fondamento di ogni impresa.

La nuova fanteria italiana. Conosciuti i difetti delle fanterie svizzere e spagnole, se ne può ordinare una nuova che resista alla cavalleria e superi le fanterie degli altri stati (l'argomento sarò ripreso e svolto nei "Dialoghi dell'Arte e della Guerra").

Attesa di un redentore. Non si deve lasciare passare l'occasione di redimere l'Italia, perchè "a ognuno puzza questo barbaro dominio". Si assuma dunque la casa dei Medici affinchè sotto i suoi auspici si verifichi il detto del Petrarca.

niccolo' machiavelli: la fortuna

REGOLA GENERALE
Non è vero quello che si dice comunemente che la fortuna governa le cose del mondo e che a lei è inutile opporsi. Il Machiavelli è invece del parere che "la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che anche lei ne lasci governare l'altra metà a noi". Perciò gli uomini, come possono arginare i fiumi rovinosi con ripari, così possono contenere con la loro virtù gli assalti della "fortuna". Ma occorre agire tempestivamente e secondo le circostanze.

ESEMPI
Giulio II fu molto favorito dalla fortuna perchè i tempi si adattavano al suo temperamento e alla sua indole. Comunque la "fortuna è donna"; ed è necessario, volendola tenere sotto (mantenerla ubbidiente) batterla et urtarla (strapazzarla).

niccolo' machiavelli: la golpe e il lione

REGOLA GENERALE
"a un principe è necessario sapere bene usare la bestia e l'uomo" (immagine espressa dal centauro Chirone), cioè al momento opportuno essere bestia (crudele) e uomo (pietoso). Nel caso in cui debba usare della "bestia" debba pigliare la golpe (astuzia) e il lione (forza), qualità che naturalmente devono potersi integrare, perchè la forza non vale contro l'astuzia e l'astuzia non basta contro la forza. Naturalmente devo mascherare bene questa natura volpina con la simulazione (nascondere agli altri la propria intenzione) e la dissimulazione (far vedere il contrario di quello che si pensa), è sufficiente "parere senza essere", perchè il "vulgo, ne va sempre preso con quello che pare e con lo evento della cosa (cioè corre dietro alle apparenze e al successo); e nel mondo non è se non il vulgo".

ESEMPI
Alessandro VI non pensò ad altro che ad ingannare gli uomini e trovò sempre qualcuno a farsi ingannare. Un principe vivente (allude a Ferdinando II il Cattolico) predica solo pace e fede mentre dentro di sè è inimicissimo dell'una e dell'altra.

niccolo' machiavelli: qualita' del principe

REGOLA GENERALE
Per poter spiegare quale dev'essere il comportamento di un principe verso i sudditi e gli amici il Machiavelli dice di voler semplicemente andare "dietro alla verità effettuale della cosa" (alla cosa com'è, non come dovrebbe essere). Perciò il principe non deve aver timore di incorrere in quei vizi che gli consentono di mantenere facilmente il suo stato.

niccolo' machiavelli: francesco sforza e cesare borgia

REGOLA GENERALE
Il privato cittadino, divenuto principe per fortuna, con poca fatica vi arriva, ma con molta, vi si mantiene, in special modo quando acquista lo stato per denaro o per favori altrui. Alla prima avversità cade, a meno che sia di grande ingegno e virtù.

ESEMPI
Francesco Sforza diventa duca di Milano con molta fatica e solo fidandosi della sua "virtù"; ma conserva il ducato con poca difficoltà.
Cesare Borgia, detto il Valentino, conquista la Romagna e le Marche con la fortuna del padre e con la morte di questo la perde, anche se ha fatto tutto ciò che un uomo prudente e virtuoso deve fare per rinsaldare il suo dominio a tal punto da essere posto ad esempio degli altri principi.

niccolo' machiavelli: i principati nuovi

REGOLA GENERALE
I principati del tutto nuovi sono assai difficili da tenere perchè "la natura dei populi è varia ; et è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile fermarli in quella persuasione. E' però conviene essere ordinato in modo che, quando non credono più, si possa fare credere loro per forza" (poichè l'animo del popolo è vario ed imprevedibile, è facile convincerlo su una cosa ma poi è difficile mantenerlo in quella idea perciò è necessario che quando il popolo cambia idea si imponga la forza).

CONSIGLI
Colui che, avendo conquistato un principato completamente nuovo si trova da semplice cittadino a principe, riesce a mantenere o meno il suo Stato, se possiede o meno la "virtù", la quale in coincidenza con l'occasione favorevole ("fortuna") è la sola capace di dominare gli eventi egli è costretto ad introdurre nuovi "ordini" e "modi" nel suo Stato: non può fare l'innovatore senza la forza.

ESEMPI
Mosè, Romolo, Teseo conquistarono il loro regno con la concomitanza della "virtù" e della "fortuna", cioè capirono l'occasione favorevole e ne approfittarono. Il Savonarola, che volle introdurre ordinamenti nuovi in Firenze, senza l'appoggio delle armi dovette cedere. Gerone Siracusano invece mise da parte la milizia antica, ne ordinò una nuova e mantenne il regno.

niccolo' machiavelli: specie di principati

Gli stati si dividono in:
         - repubbliche
         - principati

I principati possono essere:
         - ereditari
         - nuovi

I principati nuovi si suddividono in:
         - nuovi del tutto (la conquista del Ducato di Milano da parte di Francesco Sforza)
         - aggiunti a uno stato ereditario (misti - Regno di Napoli, aggiunto al Regno di Spagna)

I principati nuovi si conquistano:
         - con armi altrui (mercenarie)
         - con armi propriet (ausiliarie)
         - per fortuna
         - per virtù

niccolo' machiavelli: rapporti fra politica e morale

Machiavelli fa la distinzione fra principe (che agisce nell'interesse dello Stato e dei sudditi) e il tiranno (che agisce per interesse personale e una ambizione di dominio).

Secondo il Machiavelli la politica ha delle leggi che non coincidono sempre con quelle della morale: essere buono può sovente provocare la "rovina" di un principe, al contrario mancare di parola, ingannare, assassinare spesso può salvare uno Stato. Di qui la formula del "fine che giustifica i mezzi". Machiavelli si limita a constatare scientificamente le due sfere diverse in cui agiscono politica e morale. Si rende conto dell'autonomia dell'una rispetto all'altra, non ne individua il punto di congiunzione. Pertanto la formula attribuita al Machiavelli va corretta in questo senso, perchè si possa avere un'esatta visione del suo pensiero "il fine quando risponde al bene collettivo moralizza i mezzi".

niccolo' machiavelli: Il Principe. Struttura e contenuto dell'opera

Il Principe composto nel 1513 durante l'esilio a San Casciano, pubblicato a Venezia nel 1532 è in 26 capitoli e si può dividere in 4 parti:

- nella prima si parla delle varie forme di principati (ereditari e nuovi; i nuovi si dividono poi in nuovi e misti cioè risultanti dall'unione di un dominio nuovo allo Stato ereditario) e dei modi con cui vanno mantenute (I - XI)

- nella seconda si esaminano varie forme di milizie (proprie, mercenarie, ausiliarie e miste) allo scopo di dimostrare l'eccellenza delle "proprie" (XII - XIV)

- nella terza si indicano le qualità necessarie ad un principe e i metodi che egli deve seguire per garantire la libertà e la potenza del suo stato (XV - XXIV)

- nella quarta dalla considerazione dell'importanza della "fortuna" si passa all'esortazione finale rivolta a Lorenzo dè Medici, nipote del Magnifico (al quale il trattato è dedicato) a liberare l'Italia dai barbari (XXV - XXVI)

Il Principe non costituisce un'innovazione dal punto di vista del genere letterario. La rottura rivoluzionaria avviene invece sul piano dei contenuti e del metodo di analisi, non uno scritto occasionale, ma una riflessione teorica di grande spessore, in polemica con la precedente precettistica perchè condotta attraverso un'indagine rigorosa e scientifica sulla realtà così com'è ( la realtà effettuale) e non su come si immagina che sia.