QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

IL RASSISMO

Uno dei fenomeni interni al fascismo con cui Mussolini si trovò a fare i conti nel periodo di stabilizzazione del suo potere fu quello del rassismo. Venivano chiamati ras (con il nome dei signori feudali d’Etiopia e d’Eritrea) quei capi del fascismo provinciale che erano stati protagonisti dell’organizzazione delle squadre e, anche attraverso il comando di queste formazioni e la violenza che aveva accompagnato le loro spedizioni, avevano acquisito una notevole autorità a livello locale. I ras più famosi furono Italo Balbo nel Ferrarese, Gino Baroncini a Bologna, Roberto Farinacci a Cremona (dove poteva contare anche sul quotidiano “Cremona nuova”), Bernardo Barbiellini a Piacenza, Antonio Arrivabene a Mantova, Raimondo Sala nell’Alessandrino, Cesare Forni nella Lomellina, Renato Ricci a Carrara, Carlo Scorza a Lucca. Questi uomini, con le loro formazioni, continuarono a spadroneggiare nelle loro zone lungo tutto l’arco del 1923-1924, nonostante l’istituzione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, che avrebbe dovuto raccogliere al suo interno i militanti delle formazioni squadristiche ormai sciolte. Queste espressioni del fascismo più intransigente sarebbero state evocate di quando in quando da Mussolini per agitare la minaccia di un nuovo ricorso alla forza. Ma, al tempo stesso, era un’esigenza del regime allontanare da sé quelle accuse di illegalità e di disordine che ne compremettevano l’immagine di fronte ai più importanti sostenitori istituzionali. Per questo Mussolini dapprima appoggiò le voci più moderate presenti all’interno dello schieramento fascista e successivamente fece ricorso all’azione dei prefetti per liquidare definitivamente lo squadrismo. Alcuni ras conservarono comunque delle posizioni di potere, sul piano locale e nazionale, grazie alle reti di relazioni da loro costruite.