QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

I SETTE FRATELLI CERVI

I Cervi, una famiglia contadina di Campegine, in provincia di Reggio Emilia, da sempre antifascisti, dopo l’8 settembre 1943 ospitarono nella loro cascina soldati sbandati e prigionieri stranieri in fuga: li accoglievano, li nutrivano, li curavano, trovavano i collegamenti perché raggiungessero i partigiani. Il 26 novembre 1943 la milizia repubblichina circondò la cascina sparando: i sette fratelli e il padre risposero con le bombe a mano e con un fucile mitragliatore. Allora i fascisti incendiarono stalla e abitazione; perché le mogli e i figli si salvassero, i Cervi si arresero. Vennero imprigionati a Reggio, ma quando (il 27 dicembre) il segretario del fascio di un paese vicino venne giustiziato in un’azione partigiana, i sette fratelli Cervi furono fucilati.

Dieci anni dopo, Italo Calvino ne scrisse questo ricordo.
”Qui, da questo filare comincia la terra dei sette fratelli. Questa piana, sono state le braccia dei sette fratelli a lavorarla; questi canali, questa vigna, ogni cosa qui intorno, l’hanno fatta i sette fratelli; e questa è la loro fattoria, quella è la loro stalla, la famosa stalla razionale, orgoglio dei sette fratelli, e le bestie famose per il latte e per il peso; ed ecco l’ala della casa che fu incendiata quella notte, ecco le finestre da cui i fratelli risposero al fuoco dei fascisti, ecco il muro contro il quale furono messi in fila a mani alzate, dopo che Gelindo aveva salutato le donne e detto che resistere non si poteva più e che conveniva arrendersi per poi cercare di scappare, e Aldo aveva detto che stessero tutti tranquilli, che avrebbe preso lui la responsabilità di tutto e così anche se lo fucilavano restavano sei di loro a far andare avanti la campagna: la storia dei sette fratelli Cervi si è svolta tutta qui.
Era una famiglia numerosa, come quelle che voleva il duce; ma nelle intenzioni di Mussolini le famiglie numerose dovevano essere allevamenti di disperati, di bestie da macello; questa invece era una delle ultime famiglie patriarcali.
Che i Cervi fossero contro il fascio, il duce, l’impero e tutto il resto non era un mistero, perché non lasciavano passare occasione per dirlo e predicarlo ai quattro venti; ma erano anche quelli che la sapevano lunga su tutti gli avvenimenti nazionali e internazionali, passati e presenti e anche futuri.
Le idee politiche non se le erano trovate già in testa nascendo, i sette Cervi; ci erano arrivati ragionando e discutendo e leggendo, a poco a poco.
Dopo l’8 settembre quell’avamposto di una società futura che era stata la famiglia Cervi ora assume un altro significato, ideale: diventa un avamposto di fratellanza internazionale nel cuore della guerra più crudele. Un centinaio di stranieri si fermarono alla fattoria dei Cervi nei mesi dal settembre al novembre 1943: inglesi, sovietici, un aviatore americano ferito, un tedesco disertore.
I Cervi furono tra i primi ideatori e sperimentatori delle nuove forme di lotta, particolarmente per quel che riguarda le azioni di squadra in pianura, di cui allora non si supponevano i grandi sviluppi futuri. Come prima erano i pionieri di nuove tecniche agricole, così ora sperimentarono i metodi di guerriglia, misurandosi nelle più varie esperienze di lotta partigiana, dalle azioni di sabotaggio all’attività clandestina nei centri abitati.
Tutto quello che il popolo italiano espresse di meglio nella Resistenza: lotta contro la guerra, patriottismo concreto, nuovo slancio di cultura, fratellanza internazionale, inventiva nell’azione, coraggio, amore della famiglia e della terra, tutto questo fu nei Cervi. Perciò in questi sette veri volti di intelligenti contadini emiliani riconosciamo l’immagine della nostra faticosa, dolorosa rinascita”.
(da Italo Calvino, I sette fratelli, in “Patria indipendente”, n.24 del 20 dicembre 1953)