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LA QUESTIONE DI TRIESTE

Il trattato italo-jugoslavo di Rapallo del 1920 aveva incluso nei territori sotto la sovranità italiana una popolazione di circa 500.000 slavi. In queste regioni il fascismo aveva condotto una politica di italianizzazione forzata, agendo con misure fortemente repressive. Le forze partigiane jugoslave negli ultimi giorni della seconda guerra mondiale avevano occupato ampie porzioni di territorio italiano. Solo dopo delicate trattative con gli anglo-americani, nel giugno del 1945, gli jugoslavi si erano ritirati, sulla base di una spartizione provvisoria dei territori che assegnava al controllo degli Alleati la cosiddetta Zona A, comprendente Trieste, una parte del Carso, Gorizia e una fascia di territorio compreso tra il vecchio confine del 1915 e gli altipiani sulla sinistra dell’Isonzo. Sotto l’amministrazione jugoslava era invece la Zona B, comprendente la parte orientale della provincia di Gorizia, l’Istria (con la sola eccezione di Pola) e Fiume. Tra l’aprile e il luglio del 1946 la conferenza di Parigi per la definizione dei trattati di pace discusse il problema. Furono ascoltate la tesi italiana e la tesi jugoslava. Il ministro degli esteri francese Georges Bidault propose una soluzione di compromesso in base alla quale venne costituito il Territorio Libero di Trieste (TLT), ufficialmente creato il 16 settembre 1947, che doveva essere posto sotto la guida di un governatore designato dall’ONU. Non fu, però, possibile trovare un accordo tra le potenze per l’attribuzione di questa carica. Si mantennero quindi due amministrazioni: quella anglo-americana sulla città di Trieste e sugli immediati dintorni (Zona A) e quella jugoslava sul territorio istriano (Zona B). Nell’ottobre del 1954, in seguito ad accordi diretti tra Jugoslavia e Italia, gli Alleati passarono a Roma l’amministrazione di Trieste. La questione fu definitivamente risolta con il trattato italo-jugoslavo di Osimo (AN) nel novembre del 1975.